Riforma tributaria: il d.lgs. n. 81 del 2025 tra esigenze di coerenza e interventi correttivi

17 Giugno 2025

Il D.lgs. 12 giugno 2025, n. 81 (c.d. “correttivo bis”), pubblicato nella G.U. del 12 giugno 2025, è stato emanato in attuazione della legge - delega per la riforma tributaria n. 111 del 2023, con il proposito di razionalizzare, emendare e innovare diversi aspetti della normativa tributaria. Le relative disposizioni, in vigore dal 13 giugno 2024, vertono sugli adempimenti tributari, il concordato preventivo biennale, il contenzioso, le sanzioni e l'accertamento tributari.

Di seguito se ne propone un riepilogo critico.

Disposizioni in tema di adempimenti tributari

Art. 1 – Codici ATECO e coefficienti di redditività per i forfetari

Per determinare la base imponibile dei soggetti in regime semplificato, continueranno ad applicarsi i coefficienti di redditività individuati in base ai codici di attività secondo la classificazione ATECO 2007. Ciò in via transitoria, ossia nelle more dell'approvazione di “nuovi coefficienti” da elaborare sulla base della classificazione ATECO 2025.

Salvo diverse determinazioni indipendenti dalla riforma della classificazione delle attività in visore dal 1° aprile 2025, la preannunciata riforma dovrebbe comportare - più che la revisione dei coefficienti - l'abbinamento dei vecchi coefficienti con i nuovi codici ATECO.

Art. 2 – Fatturazione elettronica delle prestazioni sanitarie

A tutela del diritto alla riservatezza dei pazienti, si conferma a tempo indeterminato il divieto di emettere fattura elettronica per gli operatori che effettuano prestazioni sanitarie verso consumatori finali.

Art. 3 – Adempimenti per veicoli elettrici

Secondo modalità da stabilire con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, i gestori delle stazioni di ricarica di veicoli elettrici assolvono gli obblighi di documentazione mediante memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri.

Art. 4 – Trasmissione CUD e precompilate

A decorrere dal 2026, i sostituti d'imposta dovranno trasmettere telematicamente all'Agenzia delle entrate le Certificazioni Uniche (CU) relative a redditi di lavoro autonomo, entro il 30 aprile (anziché entro il 31 marzo) dell'anno successivo a quello in cui i compensi sono stati corrisposti. La medesima proroga di un mese è estesa ai CUD che certificano provvigioni inerenti a rapporti non occasionali di commissione, agenzia, mediazione, rappresentanza di commercio e procacciamento di affari.

Trattandosi di adempimenti funzionali alla elaborazione delle dichiarazioni precompilate dei contribuenti titolari di partita IVA, si prevede in parallelo che, a decorrere dal 2026, dette dichiarazioni saranno rese disponibili dal 20 maggio, anziché dal 30 aprile.

Art. 5 – Invio annuale delle spese sanitarie al sistema T.S.

In relazione a esigenze di allineamento a principi UE, volti a ridurre gli oneri ripetitivi a carico dei contribuenti, il decreto prevede che la trasmissione dei dati relativi alle spese sanitarie al Sistema Tessera Sanitaria (STS) debba effettuarsi anno per anno. Il passaggio dall'invio semestrale a quello annuale avvenire” a partire dai dati relativi al 2025”, ancorché il termine entro il quale adempiere – logicamente successivo al 31.12.2025 - debba essere stabilito con decreto ministeriale del MEF.

L'assenza temporanea del DM non dovrebbe implicare in via transitoria il mantenimento del vecchio sistema, ma solo la sospensione temporanea della scadenza, in attesa del DM. Di conseguenza il primo e unico invio dei dati relativi al 2025 dovrebbe effettuarsi nel 2026, entro la data specificata dall'emanando decreto. Sembrerebbe pertanto definitivamente rimosso l'obbligo dell'invio in forma semestrale dei dati relativi al 2025.

Art. 6 – Forfetari e versamento dell'IVA nelle operazioni in reverse charge

Il legislatore delegato fa obbligo ai soggetti forfetari di versare l'IVA addebitata sugli acquisti in reverse charge entro il giorno 16 del mese successivo alla fine del trimestre solare in cui l'imposta è divenuta esigibile. Il valore aggiunto della norma è formale e sistematico: rende esplicito che i soggetti in regime forfetario di cui alla legge n. 190 del 2014, commi 54-59, quando effettuano acquisti di beni e servizi per i quali si applica l'inversione contabile, compresi quelli intracomunitari, sono tenuti a versare l'IVA a debito oggetto di integrazione documentale o esposta nell'autofattura, entro un termine perentorio.

Si ricorda che in relazione agli acquisti in re. ch.  i forfetari non hanno diritto alla detrazione (in quanto non applicano l'IVA sulle operazioni effettuate), ma sono comunque tenuti a riversare l'IVA a debito dal momento che, quali soggetti passivi del tributo, risultano destinatari di beni o servizi effettuati nel territorio dello Stato.

In breve, essi hanno l'obbligo di integrare le fatture per le operazioni di cui risultano debitori di imposta con indicazione dell'aliquota e della relativa imposta, da versare entro il giorno 16 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni, senza diritto alla detrazione dell'imposta relativa.

Adempimenti in tema di concordato preventivo annuale

Art. 7 – Esclusione dei forfetari dal concordato

A decorrere dal 1° gennaio 2025 è abrogato il capo III del titolo II del D. Lgs. n. 13 del 2024 disciplinante il concordato preventivo biennale per i soggetti in regime forfetario. Ne consegue che tali soggetti, già ammessi al concordato in via sperimentale per l'anno 2024, non potranno più avvalersene per gli anni successivi. L'esclusione appare coerente con la struttura del concordato preventivo, basata sulla elaborazione di modelli previsionali e indicatori analitici evidentemente incompatibili con i regimi di favore semplificati.

Art. 8 - Trattamento del divario tra reddito dichiarato e reddito concordato

Il decreto correttivo ha inteso altresì limitare i vantaggi del concordato preventivo nelle ipotesi in cui il reddito incrementale oggetto di adesione sia particolarmente elevato, senza tuttavia alterare l'equilibrio tra fiscalità incentivante e sostenibilità del patto fiscale su cui si fonda l'intero impianto del concordato.

È noto che il concordato preventivo, nella sua impostazione sistemica, è uno strumento che mira a rafforzare la compliance spontanea dei contribuenti, offrendo in cambio il vantaggio della certezza del reddito e, per effetto, la protezione da accertamenti per il biennio concordato. Il patto implicito di fiducia da cui parte l'architettura normativa dell'istituto, tuttavia, è sensibile al divario tra il reddito concordato e quello storicamente dichiarato.

Per incentivare l'adesione, la legge riconosce l'applicazione di un'imposta sostitutiva, agevolata, che si applica non all'intero reddito complessivo, ma alla differenza positiva tra il reddito concordato e quello dell'anno precedente. In questo modo, il contribuente è invogliato ad accettare un reddito superiore, poiché sa che l'incremento non sarà tassato con l'ordinario prelievo progressivo e multilivello (IRPEF più addizionali), bensì con un'aliquota ridotta e flat, più favorevole. Per evitare, tuttavia, che questa logica agevolativa si traduca in un effetto regressivo, o favorisca contribuenti che hanno dichiarato poco in passato, l'articolo 8 del decreto correttivo introduce un correttivo: un limite massimo al beneficio della sostitutiva agevolata, fissato in 85.000 euro di incremento.

Ciò significa che, se il reddito concordato eccede quello dell'anno precedente per una somma superiore a 85.000 euro, la parte eccedente tale soglia non gode più dell'aliquota sostitutiva agevolata, ma è comunque assoggettata a un'imposta sostitutiva “tecnica”, calcolata però:

  • per le persone fisiche, con le aliquote ordinarie dell'IRPEF, secondo l'art. 11, comma 1, lett. c), del TUIR (quindi fino al 43%, ma senza addizionali regionali e comunali);
  • per i soggetti IRES, con l'aliquota fissa del 24%, ex art. 77 TUIR.

Questo meccanismo preserva, da un lato, la linearità formale dell'imposta sostitutiva, evitando il ritorno alla tassazione ordinaria con tutte le sue variabili (detrazioni, addizionali, ecc.), dall'altro, l'effetto di stabilizzazione accertativa, poiché l'intero reddito concordato — anche la parte eccedente gli 85.000 euro — resta pur sempre “blindato” e non soggetto ad accertamento, per tutta la durata del biennio.

In breve, il decreto correttivo introduce una norma di equilibrio tra incentivo e presidio del gettito. Non si tratta di una penalizzazione in senso stretto, bensì di un meccanismo antiabuso e di contenimento: l'agevolazione viene attenuata, ma non cancellata, per evitare che soggetti con redditi dichiarati irrisori in passato possano ottenere un trattamento troppo favorevole a fronte di redditi concordati molto più elevati.

Art. 9 – Partecipazione di professionisti a forme associative. Effetti sul CPB

Il concordato preventivo biennale è fondato su una logica collaborativa tra contribuente e amministrazione, attraverso la definizione anticipata di un reddito minimo fiscalmente rilevante per due anni. Nel caso dei lavoratori autonomi e dei professionisti, tuttavia, laddove l'attività non sia esercitata in forma esclusivamente individuale, ma anche attraverso associazioni professionali o società tra professionisti, il legislatore delegato ha avvertito l'esigenza di coordinare l'applicazione del concordato tra le varie “posizioni fiscali” riferibili al medesimo soggetto (quella individuale e quella “collettiva”), onde evitare che il contribuente possa sfruttare lo strumento del concordato in modo selettivo o distorto.

A tal fine, intervenendo sul D. Lgs. n. 13 del 2024, il correttivo esclude dal CPB il lavoratore autonomo (ex art. 54 TUIR) che, nel periodo d'imposta precedente, abbia anche partecipato a un'associazione professionale (art. 5, co. 3, lett. c) del TUIR), a una società tra professionisti (L. n. 183 del 2011) oppure a una società tra avvocati (L. n. 247 del 2012), a meno che anche l'associazione o la società abbia aderito al concordato per i medesimi periodi. Nello stesso tempo, viene esclusa dal CPB l'associazione o società professionale qualora non tutti i soci o associati (che percepiscono reddito di lavoro autonomo) abbiano aderito al concordato per i medesimi periodi.

La ratio è quella di evitare che il contribuente possa “spalmare” il proprio reddito tra due entità (individuale e collettiva), scegliendo arbitrariamente quale delle due assoggettare al concordato. L'adesione deve essere coerente e simultanea: o tutti aderiscono, o nessuno può beneficiare. In altri termini, il CPB non può essere applicato “a macchia di leopardo” tra posizioni soggettive che, pur formalmente distinte, sono riconducibili a un'unica attività professionale svolta in forma aggregata o individuale.

Si favorisce in tal modo una forma di responsabilizzazione collettiva: la norma incentiva l'adesione simultanea di tutti i soggetti coinvolti in strutture associate, per evitare che la convenienza del concordato venga strumentalizzata in funzione della forma giuridica adottata.

In modo speculare, il decreto sanziona anche l'incoerenza successiva all'adesione: cessano dal CPB il contribuente lavoratore autonomo e la società o associazione partecipata se non abbiano determinato entrambi il reddito con il concordato nei medesimi periodi. La cessazione è bilaterale e automatica, volta a preservare la simmetria tra le due realtà fiscali: anche a posteriori, si pretende un allineamento pieno tra soci e società. L'inadempimento da parte di un socio comporta la decadenza dell'intera compagine dal regime di concordato.

Anche questa disposizione si applica a decorrere dalle opzioni per il concordato relativo al biennio 2025-2026.

In sintesi, l'art. 9 del D.lgs. 81/2025 definisce un meccanismo di esclusione e decadenza condizionata, al fine di evitare una fuga selettiva dal concordato e promuovere una gestione unitaria del reddito professionale, che trova espressione in regole simmetriche, bilaterali e vincolanti per tutte le entità coinvolte.

Da notare che tra le forme associative interessate dall'art. 9 non sono comprese le società di ingegneria di cui all'art. 66 del D. Lgs. n. 36 del 2023.

Art. 10 – Cosa intendere per “conferimento in società

Tra gli eventi che comportano l'esclusione o la cessazione dal concordato, il d.lgs. n. 31 del 2024 annovera il “conferimento in società o associazioni” che, al pari di altre operazioni straordinarie (cambio del regime fiscale, cessazione dell'attività, trasferimento dell'azienda, trasformazione, scissione o fusione), alterano l'identità soggettiva o oggettiva dell'attività rispetto a quella concordata, compromettendone la continuità.

La portata del “conferimento in società” appariva tuttavia ambigua, così che il legislatore delegato è intervento con una norma di interpretazione autentica, volta a chiarire che le operazioni di conferimento che comportano l'esclusione o la cessazione dal CPB sono “esclusivamente quelle che hanno ad oggetto un'azienda o un ramo d'azienda”. Pertanto, non rilevano i conferimenti di denaro, di beni singoli (es. fabbricati, impianti, brevetti) o diritti di credito, ma rileva solo il conferimento che comporta il trasferimento di un'attività economica organizzata, cioè di un'azienda ai sensi dell'art. 2555 c.c. o di un suo ramo.

Questa interpretazione si armonizza con la ratio unitaria dell'art. 10 del D.lgs. 13/2024, secondo cui le cause di esclusione e cessazione sono tutte le operazioni straordinarie che compromettono la continuità dell'attività cui si riferisce il reddito concordato. Il CPB è concesso su una base presuntiva legata alla continuità: ogni operazione che stravolge il presupposto produttivo è causa di esclusione o cessazione.

Di converso, non modificano l'attività produttiva conferimenti marginali non incidenti sull'autonomia economica in quanto non trasferiscono alcuna attività economica organizzata e che, per ciò stesso, non incidono sull'integrità economica dell'attività originaria posta a fondamento del patto concordatario stipulato con la conferente o con la conferitaria. 

Art. 11- Termini per aderire al CPB

È previsto che la proroga del termine di adesione al concordato preventivo biennale dal 31 luglio al 30 settembre.

Art. 12. Decreti in materia di CPB e parere del Garante della privacy

Il correttivo specifica che nell'ambito del procedimento di elaborazione della proposta di concordato, il parere del Garante della privacy di cui all'art. 9 del decreto istitutivo del concordato n. 13 del 2024, debba essere richiesto “solo nei casi in cui il decreto (di approvazione della metodologia) introduca modifiche al percorso metodologico di calcolo”, ossia quando effettivamente vi sia un impatto sui dati trattati, sui modelli predittivi e sulla profilazione del contribuente.

La disposizione risponde all'esigenza di evitare applicazioni automatiche e generalizzate della norma di riferimento, che rischierebbero di appesantire e rallentare l'iter di approvazione dei decreti, rafforzando la distinzione tra aspetti tecnici (metodologici) - per i quali è rilevante il profilo del trattamento dei dati personali - e aspetti meramente gestionali o organizzativi, che non incidono sulla privacy.

Art. 13 – L'adesione al CPB non esclude la maxi-deduzione per nuove assunzioni

Il correttivo estende la fruibilità della maxi-deduzione del 120 per cento del costo del lavoro per le nuove assunzioni, di cui all'art. 4 del D.L. n. 216 del 2023, anche al reddito concordato nell'ambito del CPB, ma con una tecnica normativa complessa, data la presenza di numerosi rinvii e raccordi normativi.

In breve, la disposizione in esame prevede che la menzionata maxi-deduzione non rientra nel calcolo del reddito oggetto della proposta di concordato, ma può essere fatta valere in sede dichiarativa, in riduzione del reddito concordato, al pari di altre componenti straordinarie, come plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze, perdite su crediti, utili/perdite da partecipazioni ed ora, anche la maxi-deduzione del costo del lavoro.

Questa impostazione trova esplicito conforto nella relazione illustrativa, che testualmente assimila tale deduzione a perdite su crediti e minusvalenze, confermandone la rilevanza a valle, in sede di liquidazione dell'imposta dovuta sul reddito concordato. Si evita in tal modo che, per effetto della rigidità della base imponibile concordata, l'adesione al CPB possa penalizzare i contribuenti virtuosi che effettuano nuove assunzioni, assicurando coerenza tra le misure di incentivo all'occupazione e il nuovo istituto del CPB.

Art. 14 – Limiti alla proposta di CPB per contribuenti virtuosi

Interviene all'art. 9 del menzionato d.lgs. n. 13 del 2024, con l'inserimento, dopo il comma 3, di altri due commi.

In particolare, il comma 3-bis pone limiti alla determinazione del reddito oggetto di concordato, prevedendo che nei confronti di contribuenti ad elevata affidabilità fiscale la proposta di reddito elaborata dall'Agenzia delle entrate può sì risultare superiore al reddito dichiarato per l'anno precedente (al biennio cui la proposta si riferisce), ma senza superare determinati limiti. Più precisamente, il reddito proposto non può superare il reddito dichiarato nel periodo d'imposta precedente per oltre il:

  • 10% per contribuenti con punteggio ISA pari a 10;
  • 15% per contribuenti con punteggio ISA tra 8 e 9,99;
  • 25% per contribuenti con punteggio ISA tra 8 e 8,99.

Tale limite rappresenta una tutela a favore del contribuente virtuoso, volto a prevenire proposte eccessivamente gravose e ingiustificate rispetto ai redditi storici dichiarati.

Nello stesso tempo, il legislatore sembra preoccuparsi all'idea che la semplice applicazione di questo tetto possa talvolta portare a proposte di reddito incoerenti o troppo distanti dalla realtà economica e settoriale. A tal fine introduce al comma 3-ter una deroga condizionata al limite fissato dal precedente comma 3-bis, di fatto svalutandone la portata e perdendo di vista la ratio che ne ha suggerito l'introduzione. A giudicare dall'apparente significato di questa disposizione, qualora l'algoritmo metodologico ordinario – che utilizza dati oggettivi e parametri settoriali per calcolare la proposta di reddito concordato – produca un valore superiore al tetto massimo del 3-bis, la limitazione imposta dallo stesso comma “non trova applicazione”. In altre parole, il limite massimo può essere superato per garantire che la proposta sia aderente ai reali indicatori di settore e all'andamento economico dell'attività del contribuente.

Questa norma riflette un orientamento ondivago e incoerente, peraltro antitetico al principio di affidamento: da un lato, si vuole premiare il contribuente tutelandolo da proposte sproporzionate e penalizzanti rispetto ai redditi precedenti; dall'altro, si vuole evitare che il tetto massimo diventi un vincolo artificioso che conduca a una valutazione del reddito sottostimata e quindi non coerente con la reale capacità contributiva.

In conclusione, il sistema normativo così delineato mira a un bilanciamento precario tra tutela del contribuente e rispetto della realtà economica settoriale, attraverso un meccanismo di verifica e deroga che rende il limite massimo flessibile e incerto, ancorato come è a criteri non oggettivi né verificabili.

Art. 15. Decadenza dal CPB pe omesso versamento

Interviene sulla causa di decadenza dal concordato preventivo biennale di cui all'art. 22, comma 1, lettera e) del decreto n. 13 del 2024, indotta dall' omesso versamento delle somme dovute a seguito delle attività di controllo automatizzato ai sensi dell'art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973.

Il correttivo puntualizza la condizione sospensiva della decadenza, specificando che la stessa si verifica solo se, decorsi 60 giorni dal ricevimento della comunicazione di irregolarità inviata ai sensi del comma 3 del citato DPR n. 600 del 1973, il contribuente non provveda al pagamento. 

Modifiche alle disposizioni in materia di contenzioso tributario

Art. 16 - Varie

Intervenendo sul d.lgs. n. 546 del 1992, il correttivo dispone che:

  • i difensori debbano attestare la conformità dei documenti acquisiti al fascicolo telematico al “documento analogico detenuto dal difensore”, anziché all' “originale” (art. 25-bis, comma 5-bis, del d.lgs. n, 546 del 1992;
  • la lettura immediata del dispositivo, subito dopo la delibera della decisione in camera di consiglio, debba essere data dal “presidente della corte di giustizia tributaria” anziché dalla “corte giudicante”, restando invariata la facoltà della corte di “riservare il deposito in segreteria e la sua contestuale comunicazione ai difensori delle parti costituite entro il termine perentorio dei successivi sette giorni” (art. 35, comma 1);
  • la competenza a trattare il ricorso per ottemperanza spetta al giudice che ha emesso la sentenza da eseguire, indipendentemente dal grado di giudizio, anziché al giudice “di primo grado” (art. 68, comma 2);
  • il ricorso per ottemperanza è proponibile entro il termine prescritto dalla legge entro il quale adempiere o, in mancanza di tale prescrizione, dopo trenta giorni dalla messa in mora del soggetto inadempiente, non solo a mezzo di ufficiale giudiziario ma anche - è questa la novità- a mezzo posta elettronica certificata ai sensi del codice dell'amministrazione digitale di cui al d.lgs. n. 82 del 2005 (art. 70, comma 2).

Analoghe modifiche sono apportate al T. U. della giustizia tributaria approvato con d.lgs. n. 175 del 1994, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2016.

Ancora in tema di contenzioso, si segnala l'ampliamento dell'ambito temporale di applicazione delle disposizioni sulla conciliazione delle controversie pendenti in Cassazione di cui all'art. 4 del D. Lgs. n. 220 del 2023, ora applicabili sia ai giudizi instaurati in cassazione a decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto correttivo in esame “sia a quelli pendenti alla data del 4 gennaio 2024”.

Modifiche alle disposizioni in materia di sanzioni tributarie

Art. 17 – Sanzioni in tema di accise e altre imposte su produzione e consumi

Ampie modifiche interessano le disposizioni sanzionatorie in tema di accise e altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi di cui al d.lgs. n. 141 del 2024, prevedendosi, in particolare, la revisione delle soglie di rilevanza per gli illeciti doganali, la possibilità di riscattare in via amministrativa, a richiesta del trasgressore, le merci confiscate e l'esclusione della punibilità per i delitti di contrabbando a seguito di ravvedimento operoso.

Art. 18 – Deroga al principio di irretroattività delle sanzioni

Come è noto le nuove sanzioni introdotte con la revisione del sistema sanzionatorio di cui al d.lgs. n. 87 del 2024, si applicano alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024 (art. 5, cit. decreto). Ebbene, la norma in esame introduce una deroga al menzionato principio di irretroattività, limitatamente al disposto dell'art. 17-bis del d.lgs. n, 472 del 1997 concernente la definizione agevolata delle sanzioni in caso di autotutela parziale disposta in pendenza di giudizio (art. 3, comma 1, lett. o), cit. decreto). Ne consegue che i contribuenti interessati possono avvalersi di detta agevolazione, peraltro in vigore ancor prima della menzionata revisione, in relazione a fattispecie sanzionatorie correlate a violazioni commesse anche prima del 1° settembre 2024.

Art. 19 – Varie

L'articolo prevede altre numerose disposizioni che innovano la disciplina delle sanzioni tributarie, di seguito elencate:

  • estensione del ravvedimento parziale, mediante versamento frazionato di un quarto del minimo della sanzione, alle regolarizzazioni di violazioni intervenute dopo la notifica dello schema d'atto di cui all'art. 6-bis, comma 3, della legge n. 212 del 2000 (all'art. 13-bis, comma 1, del d.lgs. n, 472 del 1997);
  • nei casi di annullamento parziale degli avvisi di contestazione (art. 16, comma 3, d.lgs. n. 472 del 1997) o di accertamento (art. 15 del d.lgs. n. 218 del 1997), è ammessa la definizione agevolata delle sanzioni, a condizione che entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, il contribuente abbia presentato istanza di autotutela parziale (art. 17-bis del citato decreto 472 del 1997);
  • le modifiche apportate al T. U. dell'imposta di registro n. 131 del 1986 prevedono che la sanzione proporzionale per omissione della richiesta di registrazione di atti rilevanti ai fini dell'applicazione dell'imposta non possa risultare inferiore a 250 euro (150 euro, in caso di ritardo); le stesse modifiche sono apportate anche al T.U. delle sanzioni tributarie approvato con d.lgs. n. 173 del 2024.   

Art. 22 – Crisi pandemica e sospensione dei termini di accertamento

Si afferma che, a decorrere dal 31.12.2025, la proroga di 85 giorni dei termini di accertamento disposta dall'art. 67 del D.L. 17.03.2020 n. 18 del 2020 non si applica agli atti impositivi impugnabili in giudizio emessi dall'Agenzia delle entrate. 

Vale a dire che gli accertamenti in scadenza il 31.12.2025 non possono beneficiare dello spostamento del termine di notifica al 26 marzo 2026.

Si ricorda che in merito all'ambito di applicazione del citato art. 67, secondo cui “Sono sospesi dall'8 marzo al 31 maggio 2020 [85 giorni] i termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici degli enti impositori”, si era pronunciata l'Agenzia delle entrate con la circolare n. 11/E del 2020, sostenendo che lo spostamento in avanti, per la durata di 85 giorni, dei termini di accertamento riguardasse tutte le annualità “di passaggio al 31.12.2020” ossia le annualità dal 2016 fino al 2019. Con la conseguenza che i termini di accertamento relativi alle già menzionate annualità potrebbero beneficiare della proroga di 85 giorni ex art. 67.

Al contrario, secondo il prevalente orientamento dei giudici di merito, la proroga andrebbe riferita esclusivamente ai termini di prescrizione e decadenza che scadono entro il 31 dicembre dell'anno in cui è disposta la sospensione degli adempimenti e dei versamenti tributari per eventi eccezionali, ossia dell'anno 2020: la preoccupazione primaria del legislatore era quella di disciplinare la sorte degli accertamenti in scadenza il 31.12.2020. Essi ritengono che detta sospensione sia stata motivata dalla difficoltà di rispettare l'ordinaria tempistica in relazione agli adempimenti in scadenza in detto anno, con la conseguenza che soltanto gli accertamenti in scadenza il 31.12.2020 (relativi al periodo d'imposta 2015) potevano essere notificati entro il 26 marzo 2021, beneficiando della sospensione di 85 giorni (dal 8 marzo 2020 al 31 maggio 2020).

Invero, una proroga generalizzata, come ritiene l'Amministrazione finanziaria, non sembra trovare giustificazioni: non è pensabile che gli accertamenti in scadenza al 31.12.2020 debbano essere “emessi” a pena di decadenza entro la stessa data (e notificati entro il 28 febbraio 2022 ai sensi dell'art. 157 del D.L. n. 34 del 2020), mentre quelli degli anni successivi, e quindi più lontani dall'emergenza pandemica, possano beneficiare di un termine più ampio.

Senza indugiare oltre sulla fondatezza della tesi sostenuta dall'Amministrazione, peraltro avvallata dalla Cassazione con decreto n. 1630 del 23 gennaio 2025, preme qui rilevare come in base alla stessa interpretazione dell'Agenzia la proroga di 85 giorni interessa soltanto i termini “di passaggio al 31.12.2020”, relativi cioè a periodi d'imposta i cui termini di accertamento risultavano pendenti al 31.12.2020, l'ultimo dei quali coincide con il periodo d'imposta 2019. Ebbene, per effetto della cessazione degli effetti della sospensione al 31.12.2025 disposta dal correttivo, il termine utile per notificare gli accertamenti in rettifica relativi al 2019 scade il 31.12.2025 anziché entro il 26.03.2026.

Si ritiene che il valore aggiunto del correttivo non si esaurisca nella già menzionata, breve anticipazione del termine di accertamento, ma si rifletta sulla validità degli accertamenti che hanno beneficiato della proroga di 85 giorni: di fatto, il correttivo “autentica” l'interpretazione del citato art. 67 fornita dall'Amministrazione.

Art. 23 – Termini di recupero degli aiuti di Stato incompatibili

Per esigenze di pieno allineamento al Regolamento UE n. 2015/1589, che richiede il recupero integrale e tempestivo degli aiuti di Stato incompatibili, il termine di 8 anni entro il quale procedere al già menzionato recupero, viene esteso agli aiuti individuali “automatici” o “semi-automatici” di cui all'art. 10 del D.M. MISE n. 115 del 2017. Il termine di 8 anni decorre dalla data di percezione o fruizione degli aiuti incompatibili (comma 1-bis dell'art. 38-bis del d.P.R. n. 600 del 1973) ovvero dall'anno di presentazione della dichiarazione in cui sono esposti (comma 2-bis dell'art. 43 del medesimo decreto).

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