Impugnazione delle delibere condominiali: principali nodi processuali
Franco Petrolati
09 Luglio 2025
Il Presidente di sezione della Corte d’Appello di Roma, ci guida, con mano esperta, lungo le molteplici insidie processuali del giudizio di impugnazione delle delibere condominiali.
Il giudizio di impugnazione: nullità ed annullabilità
Le delibere dell'assemblea sono dotate di efficacia obbligatoria nei riguardi di tutti i condomini se adottate “in conformità” alla disciplina condominiale (art. 1137, comma 1, c.c.).
Di qui il rilievo che assume il giudizio di impugnazione di tali deliberazioni al fine di accertarne l'invalidità, per nullità o annullabilità, in modo da inficiarne l'efficacia.
L'art.1137, commi 2,3 e 4, c.c. – unitamene all'art. 66, comma 3, ult. periodo, disp. att. c.c. – disciplina, tuttavia, solo il giudizio volto all'annullamento della deliberazione impugnata; l'azione di accertamento della nullità ha, quindi, un carattere residuale ed è esperibile ai sensi degli artt. 1421 e 1422 c.c., relativi bensì al contratto in generale ma applicabili anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale ex art.1324 c.c.
Ai fini della qualificazione del vizio della delibera impugnata, quale nullità o annullabilità, si è consolidato il principio di diritto secondo cui la nullità è rinvenibile soltanto nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell'oggetto in senso materiale o giuridico - quest'ultima da valutarsi in relazione al "difetto assoluto di attribuzioni" -, contenuto illecito, ossia contrario a "norme imperative" o all'"ordine pubblico" o al "buon costume"; con riguardo, quindi, alla approvazione del riparto delle spese tra i condomini, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell'assemblea previste dall'art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative a determinati atti o periodi di gestione (es: preventivi e consuntivi annuali) se adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, trattandosi di deliberazioni comunque assunte nell'esercizio delle attribuzioni spettanti ex lege all'assemblea (Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2021, n. 9839).
A titolo esemplificativo è, quindi, nulla per illiceità dell'oggetto la delibera che approvi un intervento edilizio lesivo della sicurezza e stabilità dell'edificio (Cass. civ., sez. II, ord., 5 aprile 2025, n. 9035); è nulla, invece, per difetto assoluto di attribuzioni la delibera che preveda opere riguardanti la proprietà esclusiva di un condomino , così come quella che ripartisca le spese di ricostruzione dei beni comuni in base all'accertamento delle ritenute responsabilità (Cass. civ., sez. II, ord., 17 giugno 2024, n. 16760).
In conformità alla disciplina codicistica (art. 1421 c.c.) la nullità può essere rilevata di ufficio, anche per la prima volta in grado di appello (Cass. civ., sez. II, ord., 10 gennaio 2019, n. 470).
Al di fuori delle ipotesi residuali di nullità, invece, la violazione della legge o del regolamento di condominio può integrare solo un vizio di annullabilità della deliberazione assembleare suscettibile di essere fatto valere previa tempestiva impugnazione ex art.1137 c.c.
La competenza
Il primo nodo processuale è quello relativo alla configurazione del giudice competente; al riguardo l'art. 23 c.p.c. prevede un foro speciale ed esclusivo per le liti “tra condominio e condomini”, tra le quali rientrano senz'altro i giudizi di impugnazione delle delibere assembleari, individuandolo nel “giudice del luogo in cui si trovano i beni comuni”. Si tratta, comunque, di un foro derogabile in via convenzionale poiché non rientra nelle ipotesi di cui all'art. 28 c. p. c., né il carattere esclusivo del foro stesso implica una preclusione all'autonomia negoziale, sicché è valida ed efficace la clausola del regolamento condominiale che stabilisca un foro convenzionale per ogni controversia relativa al regolamento medesimo (Cass. civ., sez. VI-II, ord. 25 agosto 2015 n. 17130; Cass. civ., sez. II, sent., 14 gennaio 2022, n. 1068)
Occorre, poi, distinguere, in ragione del valore della causa, tra giudice di pace (ora competente fino a € 10.000,00 exart. 7, comma 1, c.p.c. a decorrere dal 28.2.2023) e tribunale.
Il giudizio di impugnazione della delibera assembleare è, infatti, volto ad inficiare l'efficacia dell'intera deliberazione di approvazione di una spesa, nei riguardi di tutti i partecipanti al condominio, anche se, come di frequente, gli importi specificamente contestati attengono soltanto al contributo dovuto dall'impugnante.
Dopo talune oscillazioni la Cassazione si è orientata nel senso che la domanda di impugnazione di delibera assembleare introdotta dal singolo condomino, anche ai fini della stima del valore della causa, non può intendersi ristretta all'accertamento della validità del rapporto parziale che lega l'attore al condominio e dunque al solo importo contestato, ma si estende necessariamente alla validità dell'intera deliberazione e dunque all'intero ammontare della spesa, giacché l'effetto caducatorio dell'impugnata deliberazione dell'assemblea condominiale, derivante dalla sentenza con la quale ne viene dichiarata la nullità o l'annullamento, opera nei confronti di tutti i condomini, anche se non abbiano partecipato direttamente al giudizio promosso da uno o da alcuni di loro (Cass. civ., sez. II, ord., 7 luglio 2021, n. 19250; conf. Cass. civ., sez. II, sent. 21 marzo 2022 n. 9068).
Al di fuori dell'ambito delle delibere approvative di spese condominiali può, tuttavia, rilevare anche la competenza per materia del giudice di pace ai sensi dell'art. 7, comma 3, c.p.c., per la quale si prescinde dal valore del giudizio; il riparto di competenza deve avvenire, infatti, in base al principio contenutistico, ossia con riguardo al tema specifico del deliberato assembleare di cui l'attore si duole.
In ragione delle attribuzioni dell'assemblea sulla disciplina dei beni comuni (art. 1138 c.c.) è, in particolare, frequente il coinvolgimento della materia della “misura e modalità d'uso” ex art. 7, comma 3, n. 2, c.p.c. Occorre, tuttavia, considerare che le controversie sulla sussistenza stessa del diritto di un condomino ad un determinato uso della cosa comune exart. 1102 c.c. non rientrano nella competenza del giudice di pace ma sono soggette agli ordinari criteri della competenza per valore, atteso che in esse non si controverte sui limiti qualitativi di esercizio delle facoltà comprese nel diritto di comunione, relativi al modo più conveniente ed opportuno con cui detta facoltà debba esercitarsi, venendo piuttosto in conflitto proprietà individuale e proprietà condominiale (Cass. civ., sez. VI, ord., 26 novembre 2021, n. 36967). Attiene, invece, senz'altro alla materia spettante al giudice di pace la lite sulle modalità d'uso dell'area condominiale, come quando si discuta se essa sia utilizzabile per collocarvi tavolini e sedie (Cass. civ., sez. II, ord., 27 ottobre 2015, n. 21910).
La legittimazione attiva e l'interesse ad agire
E' da definire preliminarmente se il giudizio sia volto all'annullamento della deliberazione impugnata o alla declaratoria di nullità.
Come evidenziato, l'art. 1137 c.c. disciplina solo il giudizio di annullamento e riserva la legittimazione attiva al solo condomino assente, dissenziente o astenuto, così escludendo quello che, sia pure a mezzo di delegato, ha votato in senso favorevole alla deliberazione assembleare.
La domanda di accertamento della radicale nullità è, invece, proponibile da chiunque vi abbia interesse ai sensi dell'art.1421 c.c.; quindi anche un condomino che abbia votato in senso favorevole (Cass. civ., sez. II, sent., 23 marzo 2016, n. 5814; Cass. civ., sez. II sent., 18 aprile 2002, n. 5626) e persino un soggetto non condomino (come il conduttore, il comodatario, ecc.) potrebbe essere legittimato a far valere la nullità di una delibera assembleare se l'azione è sostenuta da un interesse specifico, concreto ed attuale.
Nel giudizio di impugnazione per l'annullamento, invece, della delibera condominiale, un indirizzo consolidato della giurisprudenza è nel senso che la legittimazione ad agire attribuita dall'art. 1137 c.c. ai condomini assenti e dissenzienti non sia subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse, diverso da quello alla rimozione dell'atto impugnato, essendo l'interesse ad agire, richiesto dall'art. 100 c.p.c. quale condizione dell'azione di annullamento anzidetta, costituito proprio dall'accertamento dei vizi formali di cui sono affette le deliberazioni (Cass. civ., sez. II, ord., 19 agosto 2020, n. 17294; Cass. civ., sez. VI, ord., 20 luglio 2020, n. 15434); né l'interesse ad agire può essere negato in ragione del valore minimo del debito in contestazione (Cass. civ., sez. II, ord., 7 aprile 2023, n. 9544).
Tuttavia, più recentemente la dimostrazione di un effettivo e persistente interesse ad agire è stato richiesto anche nel giudizio di impugnazione per l'annullamento: si è, infatti, affermato che l'azione di annullamento della deliberazione assembleare, disciplinata dall'art. 1137 c.c., presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di condomino dell'attore sia al momento della proposizione della domanda sia al momento della decisione della controversia, in quanto la perdita di tale status determina, di regola, il venir meno dell'interesse dell'istante alla caducazione o alla modifica della portata organizzativa della deliberazione impugnata, salvo che questi vanti un diritto correlato alla sua passata partecipazione al condominio e tale diritto dipenda dall'accertamento della legittimità della deliberazione, ovvero che la medesima continui ad incidere, in via derivata, sul suo patrimonio (Cass. civ., sez. II, ord., 14 giugno 2024, n. 16654).
Condominio parziale processuale
A seguito dell'impugnazione di una delibera assembleare l'assemblea potrebbe essere convocata per decidere se costituirsi in giudizio o, se l'amministratore si sia già costituito (nell'ambito delle sue attribuzioni ex art.1131 c.c.), quale sia la linea difensiva da assumere nel corso del procedimento; si pone, quindi, la questione se abbia diritto ad essere convocato a tale assemblea anche il condomino impugnante.
Al riguardo è recentemente invalsa la tesi negativa, argomentando non già da una ipotetica preclusione per conflitto di interessi (arg. exart. 2373 c.c.) ma dalla configurazione, a seguito di una lite tra uno o più condomini ed il condominio, di una scissione all'interno della originaria compagine condominiale: da un lato coloro che sono chiamati a deliberare sulla resistenza o la prosecuzione in giudizio, dall'altro i destinatari di tale decisione, quale parte avversa, che è da ritenersi estranea, in ordine allo specifico oggetto della lite, alla compagine condominiale, con conseguente esclusione del diritto non solo ad esprimere il voto ma anche ad essere convocato alla relativa assemblea, analogamente a quanto accade per il condominio parziale (Cass. civ., sez. II, sent., 20 marzo 2025 n. 7491; Cass. civ., sez. II, ord., 2 febbraio 2023, n. 3192).
La legittimazione passiva
È passivamente legittimato, nei giudizi di impugnazione delle delibere assembleari, l'amministratore del condominio in forza di una attribuzione di potere ex lege (art 1131 c.c.) e, quindi, non è necessaria una previa autorizzazione od una ratifica assembleare per la costituzione in giudizio.
Tale potere di rappresentanza in giudizio è previsto da una disciplina non derogabile né dall'assemblea a maggioranza né da un regolamento contrattuale; ne deriva che la clausola contenuta in un regolamento condominiale (ancorché deliberato tra tutti i condomini), secondo cui l'autorizzazione a stare in giudizio debba essere deliberata dall'assemblea, non ha efficacia giuridica, poiché l'art.1131 c.c. rientra tra le norme inderogabili richiamate specificamente dall'art.1138, comma 4, c.c. (Cass. sez. II, sent. 29 gennaio 2021 n. 2127).
Il giudizio di impugnazione ha quale oggetto, infatti, una deliberazione volta a perseguire finalità di gestione di un servizio comune ed a soddisfare esigenze soltanto collettive, senza attinenza diretta all'interesse esclusivo di uno o più partecipanti; pertanto in tali controversie la legittimazione ad agire, e quindi ad impugnare, spetta in via esclusiva all'amministratore, con esclusione della possibilità di impugnazione da parte del singolo condomino in caso di acquiescenza da parte del condominio (Cass. civ., sez. II, sent. 12 dicembre 2017, n. 29748; Cass. civ., sez. II, sent., 21 settembre 2011, n. 19223; non ha avuto seguito, al riguardo, Cass. civ., sez. II sent., 6 agosto 2015, n. 16562 che, invece, aveva ritenuto la persistenza, in capo al singolo condomino, del potere di impugnazione della sentenza resa nei confronti dell'amministratore e da questi non impugnata).
I condomini conservano bensì la facoltà di intervenire in proprio anche nei giudizi di impugnazione delle delibere assembleari, a sostegno della validità della delibera impugnata; tuttavia, l'iniziativa assume la configurazione dell'intervento adesivo dipendente, dunque limitato allo svolgimento di attività accessoria e subordinata a quella della parte adiuvata (il condominio), con esclusione della possibilità di proporre gravame (Cass. civ., sez. II, ord., 4 febbraio 2021, n. 2636).
Vizio di convocazione
Una specifica previsione è riservata alla “omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto” a partecipare all'assemblea, consentendo la domanda di annullamento ex art.1137 c.c. ai condomini dissenzienti o assenti “perché non ritualmente convocati”(art. 66, comma 3, ult. periodo, disp. att. c.p.c.).
La legittimazione all'impugnazione è da ritenersi, quindi, senz'altro soggettivamente preclusa ai condomini presenti all'assemblea che non siano stati dissenzienti, vale a dire non abbiano votato in senso contrario all'adozione della deliberazione in contestazione; ma ulteriore peculiare preclusione è prevista per l'ambito dei vizi denunciabili, che debbono attenere solo alla convocazione del condomino impugnante e non di altri pur aventi titolo a partecipare all'assemblea.
Tale limitazione dei vizi di convocazione denunciabili ha trovato bensì espresso riconoscimento nell'art. 66 disp. att. c.p.c. a seguito della riforma ex lege n. 220/2012 – in vigore dal 18 giugno 2013 - ma discende, comunque, dalla pregressa configurazione, invalsa nella giurisprudenza, del vizio della convocazione quale causa di mera annullabilità della deliberazione assembleare, con conseguente applicazione della regola che riserva l'annullamento alla sola “parte nel cui interesse è stabilito dalla legge” ai sensi degli artt. 1324 e 1441 c.c. (Cass. civ., sez. II, sent., 28 maggio 2020, n. 10071; Cass. civ., sez. II, sent., 10 marzo 2020, n. 6735; Cass. civ., sez. II, sent., 18 aprile 2014, n. 9082).
L'atto introduttivo
A seguito di talune oscillazioni si è da tempo consolidato nella giurisprudenza il principio che le impugnazioni delle delibere dell'assemblea, in applicazione della regola generale dettata dall'art. 163 c.p.c., devono essere proposte con le modalità della citazione, in quanto il codice civile, all'art.1137 c.c., non disciplina propriamente la forma di tali impugnazioni; tuttavia sono da ritenersi valide anche le impugnazioni proposte impropriamente con ricorso, qualora l'atto risulti depositato in cancelleria entro il termine di decadenza stabilito dall'art. 1137 c.c. (Cass. sez. un. 14 aprile 2011 n. 8491).
Quanto ai gradi successivi, si ritiene più recentemente che l'appello avverso la sentenza che abbia deciso sull'impugnazione di una delibera assembleare esperita in primo grado nelle forme del ricorso (secondo la formulazione dell'art. 1137 c.c. antecedente alla riforma ex l. n. 220 del 2012), comunque debba essere proposta con citazione, in conformità alla regola generale di cui all'art. 342 c.p.c., con la conseguenza che la tempestività del gravame sia da verificare in base alla data di notifica dell'atto e non a quella di deposito dello stesso nella cancelleria (Cass. civ., sez. VI-II, ord., 5 aprile 2017, n. 8839; in senso contrario, Cass. civ., sez. II, sent., 26 luglio 2013, n. 18117 aveva invece affermato che il rispetto del termine di gravame è assicurato già dal deposito del ricorso in cancelleria, a prescindere dalla sua successiva notificazione).
Qualora, tuttavia, il giudizio di impugnazione della delibera assembleare non solo sia stato introdotto con ricorso ma si sia svolto in primo grado secondo il c.d. rito del lavoro, si considera ammissibile il gravame proposto con ricorso tempestivamente depositato in cancelleria, a prescindere dalla sua successiva notificazione, in ragione del principio di ultrattività del rito e cioè del principio che l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell'apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell'azione e del provvedimento compiuta dal giudice (Cass. civ., sez. II, sent., 23 agosto 2019, n. 21632).
Litisconsorzio necessario nel gravame
Qualora la delibera assembleare sia impugnata da una pluralità di condomini si determina tra gli stessi una situazione di litisconsorzio necessario di natura processuale che rileva, in particolare, nei gradi successivi: nei casi in cui il gravame sia proposto, infatti, solo da taluni di essi, il giudice è tenuto ai sensi dell'art.331 c.p.c. ad integrare il contraddittorio nei confronti dei restanti condomini (già impugnanti in primo grado), quali parti di una causa inscindibile, e ciò anche se il gravame sia proposto avverso solo il capo relativo alle spese processuali (Cass. civ., sez. II, ord., 13 maggio 2022, n. 15320; Cass. civ., sez. II, ord., 26 settembre 2017, n. 22370).
Opposizione a decreto ingiuntivo
Nei casi in cui il decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio per la riscossione dei contributi gestionali (art. 63 disp. att. c.c.) si fonda su delibera assembleare non previamente impugnata dal condomino debitore, si è imposta la questione se ed entro quali limiti possano essere fatti valere i vizi della delibera stessa in sede di opposizione all'ingiunzione.
Al riguardo la direttiva nomofilattica che si è più recentemente affermata, dopo alterne soluzioni giurisprudenziali, è nel senso che il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d'ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, sia l'annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest'ultima sia dedotta in via d'azione, mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell'atto di citazione, ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione; ne consegue l'inammissibilità, rilevabile d'ufficio, dell'eccezione con la quale l'opponente deduca solo l'annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione senza chiedere una pronuncia di annullamento. (Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2021, n. 9839; conf.Cass. civ., sez. II, ord., 30 luglio 2024, n. 21244).
In sede di opposizione al decreto ingiuntivo, pertanto, la domanda di annullamento della deliberazione assembleare, costituente la prova del credito azionato in via monitoria, non è in linea di principio preclusa ma è, tuttavia, esposta all'eccezione di decadenza per inosservanza del termine di gg. 30 previsto dall'art. 1137, comma 2, c.c.; è, invece, sempre ammissibile l'eccezione di nullità della delibera stessa (art. 1422 c.c.) ma non la mera eccezione di annullabilità.
Termine di decadenza
Il termine perentorio di giorni 30 per la domanda di annullamento della delibera assembleare, soggetto alla sospensione nel periodo feriale a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale della disciplina che non la prevedeva (art.1 legge n. 742/69: C. Cost. 2 febbraio 1990 n.49), decorre dalla data della deliberazione per i condomini dissenzienti o astenuti e dalla data della comunicazione della delibera per i condomini assenti (art.1137, comma 2, c.c.).
In ordine alle modalità di perfezionamento della comunicazione agli assenti a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, si è più recentemente precisato che, in caso di mancato reperimento del destinatario da parte dell'agente postale, la comunicazione si deve ritenere eseguita, ai sensi dell'art. 1335 c.c., al momento del rilascio del relativo avviso di giacenza del plico presso l'ufficio postale, in quanto idoneo a consentirne il ritiro (e quindi indipendentemente dal momento in cui la missiva viene ritirata), salvo che il destinatario deduca e provi di essersi trovato senza sua colpa nell'impossibilità di acquisire la detta conoscenza (Cass. sez. II ord. 4 ottobre 2018, n. 24399; in precedenza, nel senso, invece, che la comunicazione si debba intendere eseguita decorsi dieci giorni dalla data di rilascio dell'avviso di giacenza ovvero, se anteriore, da quella di ritiro del piego, in applicazione analogica di quanto previsto dall'art. 8, comma 4, della legge n. 890/1982 , Cass. civ., sez. II, sent., 14 dicembre 2016, n. 25791).
La comunicazione agli assenti deve, comunque, attenere specificamente al verbale assembleare e, al riguardo, si ritiene pertanto che l'onere non possa ritenersi assolto mediante la notificazione del decreto ingiuntivo che pur si fondi sulla deliberazione prodotta in sede monitoria (Cass. civ., sez. II, sent., 2 agosto 2016, n. 16081).
Sulla decorrenza del termine perentorio incide, poi, per tutti i condomini (assenti o presenti) l'onere preventivo della domanda di mediazione ex art. 5 d.lgs. n. 28/2010 in quanto l'impugnazione della delibera assembleare rientra tra le controversie derivanti dalla violazione della disciplina codicistica del condominio di cui all'art. 71-quater disp. att. c.p.c.. Al riguardo l'art. 8, comma 2, d.lgs. n. 28/2010 prevede che la decadenza è impedita “per una sola volta” non già dalla presentazione della domanda di mediazione bensì dalla “comunicazione” della stessa, cui provvede di regola l'organismo adito, contestualmente alla convocazione delle parti; si consente, tuttavia, espressamente alla parte impugnante di anticipare al condominio la comunicazione della stessa domanda di mediazione al fine di evitare il rischio della maturazione della decadenza.
Il termine perentorio di giorni 30 riprende, poi, integralmente la sua decorrenza a partire dall'esito negativo esperimento della mediazione: al riguardo l'art. 5, comma 4, d.lgs. n. 28/2010 prevede che la condizione di procedibilità si considera avverata sin dal primo incontro avanti al mediatore conclusosi senza accordo di conciliazione; di tale conclusione deve, quindi, a cura del mediatore, darsi riscontro mediante verbale sottoscritto da tutte le parti (art. 8, comma 6, d.lgs. n. 28/2010).
Sospensione dell'efficacia
La proposizione dell'impugnazione della delibera condominiale non incide di per sé sull'efficacia della delibera stessa, che può, tuttavia, essere sospesa in via interinale dal giudice adito (art.1137, commi 3 e 4, c.c.).
Al riguardo sono richiamate, in quanto compatibili (“per quanto non espressamente previsto”), le norme processuali sui procedimenti cautelari in generale (artt. 669-bis e segg. c.p.c.) precisandosi, tuttavia, che anche la proposizione dell'inibitoria ante causam – prima, cioè del giudizio di merito – non implica alcuna sospensione od interruzione della decorrenza del termine perentorio per l'impugnazione della deliberazione.
A seguito della novella apportata nell'ambito della riforma c.d. Cartabia a decorrere dal 28 febbraio 2023 (art. 1, comma 11, d.lgs. n. 149/2022), alla fase cautelare non deve però necessariamente seguire il giudizio di merito in quanto i provvedimenti di sospensione dell'efficacia delle delibere assembleari rientrano tra le misure c.d. anticipatorie previste dall'art. 669-octies, comma 6, c.p.c., le quali restano dotate di efficacia anche in caso di mancato svolgimento del giudizio a cognizione piena.
Se, quindi, il condomino è indotto, in ragione della decorrenza del termine perentorio di giorni 30 per l'impugnazione, ad attivare quanto meno la mediazione prodromica al giudizio di merito unitamente all'istanza di inibitoria, tuttavia l'accoglimento nelle more dell'istanza cautelare potrebbe eventualmente determinare la cessazione della materia del contendere.
Onere della prova
In linea di principio compete al condomino impugnante l'onere di dimostrare la sussistenza dei vizi ascritti alla delibera assembleare, ivi compresi quelli relativi alle modalità della convocazione e la costituzione dell'assemblea, oltre alla formazione della deliberazione (Cass. civ., sez. II, ord., 9 ottobre 2023, n. 28262; Cass. civ., sez. VI, ord., 9 maggio 2017, n. 11375); al riguardo il verbale dell'assemblea condominiale offre una prova presuntiva dei fatti che afferma essersi in essa verificati, per modo che incombe sul condomino che impugna la deliberazione assembleare l'onere di fornire la dimostrazione che quanto riferito nel relativo verbale non sia veritiero (Cass. civ., sez. VI, ord., 12 agosto 2015, n. 16774).
Nel caso, tuttavia, in cui sia denunciata la radicale omissione della convocazione, l'onere della prova che l'impugnante sia stato effettivamente e tempestivamente convocato ricade sul condominio, non potendosi porre a carico dell'attore la prova di un fatto negativo (Cass. civ., sez. VI, ord., 24 ottobre 2014, n. 22685).
Accertamento di diritti reali
Qualora in sede di impugnazione della delibera assembleare sia contestata la stessa qualità di condomino ovvero l'appartenenza della rispettiva unità immobiliare in proprietà esclusiva al condominio, il giudice adito può conoscere della questione solo in via incidentale, ai soli fini della decisione della causa sulla validità dell'atto collegiale, con esclusione del giudicato in ordine all'estensione dei diritti reali dei condomini; ciò perché il contraddittorio è limitato al condomino impugnante ed al condominio rappresentato dall'amministratore, mentre l'accertamento, con efficacia di giudicato, dell'assetto dei diritti reali può derivare solo previa instaurazione del giudizio nei riguardi di tutti i condomini (Cass. civ., sez. II, ord., 7 aprile 2023, n. 9551; Cass. civ., sez. VI, 25 giugno 2018, n. 16679).
Cessazione della materia del contendere
La sostituzione della delibera impugnatacon altra adottata dall'assemblea in conformità della legge determina la cessazione della materia del contendere, analogamente a quanto disposto dall'art. 2377, comma 8, c.c. in tema di società di capitali, a condizione che la nuova deliberazione non solo abbia un identico contenuto, e che cioè provveda sui medesimi argomenti, della deliberazione impugnata, ma anche rimuova il vizio denunciato dal condomino impugnante, così facendo venir meno l'interesse ad una pronuncia sul diritto azionato (Cass. civ., sez. VI, ord., 23 febbraio 2022, n. 5997; Cass. civ., sez. VI, ord., 8 giugno 2020, n. 10847).
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Il giudizio di impugnazione: nullità ed annullabilità