Il credito risultante da lodo arbitrale rituale è opponibile al curatore del fallimento?

10 Luglio 2025

Il lodo arbitrale è opponibile alla procedura fallimentare? Più precisamente: chi ha ottenuto una condanna a proprio vantaggio sulla base di un lodo arbitrale rituale ha diritto di essere ammesso al passivo della procedura concorsuale per il credito risultante dal lodo? La Corte di cassazione risponde positivamente, trattandosi – il lodo – di atto quasi perfettamente equiparabile alla sentenza di un giudice togato.

Massima

Nell’opposizione allo stato passivo il lodo arbitrale rituale, in quanto pienamente assimilabile a una sentenza giurisdizionale dal momento dell’ultima sottoscrizione, a norma dell’art. 824-bis c.p.c., è come tale opponibile alla procedura fallimentare dalla data dell’ultima sottoscrizione, data alla quale il provvedimento viene a esistenza e comincia a produrre i suoi effetti.

Il caso

Nasce un contenzioso tra due società, che viene risolto mediante un lodo arbitrale. In forza di detta pronuncia la società Beta viene condannata a pagare alla società Alfa l’importo di € 202.416,98. Sennonché la società debitrice Beta, circa 14 mesi dopo la redazione del lodo da parte degli arbitri, viene dichiarata fallita. Alfa si vede allora costretta a chiedere l’ammissione allo stato passivo del fallimento per il credito risultante dal lodo arbitrale. Il giudice delegato però non ammette il credito sulla base della considerazione che il lodo è privo del c.d. “exequatur” richiesto dall’art. 825, comma 1, c.p.c. La questione si trascina fino davanti alla Corte di cassazione.

La questione

La questione centrale oggetto dell’ordinanza della Corte di cassazione in commento è quali sono i presupposti che consentono al creditore di chiedere alla procedura fallimentare l’ammissione di un credito risultante da lodo arbitrale. Serve necessariamente il deposito del lodo presso il tribunale, come prescrive il comma 1 dell’art. 825 c.p.c.? Oppure il lodo produce già tutti i suoi effetti (compreso quello di essere opponibile a un’eventuale procedura fallimentare) per il solo fatto di essere stato redatto e firmato da tutti gli arbitri?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ritiene che il lodo firmato da tutti gli arbitri sia “perfetto” e valido, con la conseguenza che non è necessario il suo deposito presso il tribunale al fine di renderlo opponibile al curatore del fallimento.

Osservazioni

Le questioni trattate dalla Corte di cassazione nell'ordinanza in commento toccano contemporaneamente profili del diritto processuale civile “classico” (effetti della sentenza), dell'arbitrato (valore del lodo) e del diritto concorsuale (opponibilità di atti al curatore quale terzo rispetto alle parti del contratto e anche rispetto agli arbitri). Per raccapezzarsi meglio nei ragionamenti svolti dalla Suprema Corte è necessario un inquadramento normativo.

L'art. 824-bis c.p.c. prevede che “salvo quanto disposto dall'art. 825, il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria”. Se l'arbitro è unico, non vi è un'ultima sottoscrizione, bensì la firma dell'unico arbitro. L'importante è che si raggiunga la completezza delle firme sul lodo. In linea di principio, vi è dunque una perfetta equiparazione tra sentenza e lodo. Del resto, sarebbe insensato prevedere diversamente. Se lo scopo dell'arbitrato è quello di sostituire la funzione del giudice civile, purché si tratti di diritti disponibili (così l'art. 806, comma 1, c.p.c.), non si vede per quale ragione concludere nel senso che il lodo non debba essere equiparato alla sentenza.

Rimane ferma l'eccezione rappresentata dall'arbitrato irrituale. A mente dell'art. 808-ter, comma 1, c.p.c., “le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quanto disposto dall'art. 824-bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. Altrimenti si applicano le disposizioni del presente titolo”. Il lodo pronunciato dagli arbitri irrituali equivale a una determinazione contrattuale. Come tale, non è equiparabile a una sentenza. Del resto è il medesimo art. 808 ter, comma 1, c.p.c. a stabilire che non trova applicazione, nel caso di arbitrato irrituale, l'art. 824-bis c.p.c., che equipara il lodo alla sentenza. Ne consegue che, se il credito di cui si chiede l'ammissione al passivo, è fondato su di un lodo irrituale, il credito potrebbe non venire ammesso. In questo senso si è pronunciato il Tribunale di Padova (Trib. Padova, 20 luglio 2012, in ilcaso.it). La società Alfa ottiene, grazie a lodo arbitrale irrituale, condanna della società Beta al pagamento dell'importo di € 888.293,75. Dal momento che Beta fallisce, Alfa presenta domanda di ammissione del credito al passivo di Beta. Il giudice padovano nega l'ammissione, statuendo che il lodo irrituale è estraneo al circuito giurisdizionale e non può avere altri effetti che sul piano negoziale.

Al di là del caso particolare del lodo irrituale, l'equiparazione dell'efficacia del lodo a quella della sentenza non è comunque proprio totale. Il codice di rito richiede difatti che il lodo venga depositato presso il tribunale, al fine di attribuirgli efficacia di titolo esecutivo. Si tratta dell'adempimento cui ci si riferisce con l'espressione di “exequatur”. Più precisamente, “la parte che intende fare eseguire il lodo nel territorio della Repubblica ne propone istanza depositando il lodo … insieme con l'atto contenente la convenzione di arbitrato … presso il tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato. Il tribunale, accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto” (art. 825, comma 1, c.p.c.). Questo adempimento, tra l'altro alquanto semplificato (il tribunale verifica solo la regolarità formale del lodo), serve solo nel caso in cui si voglia mettere in esecuzione il lodo. Ci sono però situazioni in cui non è necessario avviare un'esecuzione forzata sulla base del lodo. La fattispecie più lineare è quella dell'adempimento spontaneo da parte del debitore. Inoltre, ed è proprio il caso trattato dall'ordinanza della Corte di cassazione in commento, l'esecutività del lodo non è necessaria per ottenere l'ammissione del credito al passivo fallimentare.

Nel caso affrontato dalla Corte di cassazione in commento, ambo le parti – dopo la pronuncia del lodo – rimangono passive. Il lodo viene pronunciato il 27 novembre 2014, ma il creditore non fa nulla per ottenere il pagamento da parte del debitore. Va peraltro osservato che il lodo, nelle more dell'inerzia di ambo le parti, diventa definitivo in assenza di impugnazione. Verosimilmente il debitore, in difficoltà finanziaria, non aveva i mezzi o comunque l'interesse a impugnare il lodo. La dichiarazione di fallimento è del 14 gennaio 2016. In questo lasso di tempo di circa 14 mesi non succede nulla tra le parti, salvo che decorre il termine per proporre impugnazione. Il termine per l'impugnazione del lodo – come statuisce l'art. 828 c.p.c. - è variabile a seconda che il lodo sia o meno stato notificato. Se il lodo viene notificato, il termine è più breve (90 giorni dalla notificazione); se invece il lodo non viene notificato, il termine è di sei mesi dall'ultima sottoscrizione. Nel caso in esame, il lodo non viene notificato dal creditore al debitore, ma non viene nemmeno impugnato dal debitore soccombente entro fine maggio 2015 (ossia entro mesi dalla sua sottoscrizione), cosicché diventa definitivo tra le parti.

Il fallimento della società debitrice viene dichiarato il 14 gennaio 2016, e l'istanza per la declaratoria di esecutività viene depositata il 14 luglio 2016 (ossia dopo la dichiarazione di fallimento). Il tribunale competente dichiara l'esecutività il 15 luglio 2015. Il giudice delegato, tuttavia, non ammette il decreto per mancanza nel lodo dell'exequatur in epoca precedente la dichiarazione di fallimento e quindi perché inopponibile alla massa. Il Tribunale di Roma concorda con l'opinione del giudice delegato: solo per effetto dell'esecutività il lodo arbitrale riceverebbe natura di sentenza. Secondo il giudice romano gli arbitri non sono equiparabili a pubblici ufficiali, per cui il lodo arbitrale equivarrebbe a una scrittura privata, per la quale occorre la data certa ex art. 2704 c.c.

La Corte di cassazione cassa il decreto del Tribunale di Roma. Secondo la Suprema Corte, nell'opposizione allo stato passivo il lodo arbitrale rituale è pienamente assimilabile a una sentenza giurisdizionale dal momento dell'ultima sottoscrizione, come stabilisce l'art. 824-bis c.p.c. Come tale, è opponibile alla procedura fallimentare dalla data dell'ultima sottoscrizione, data alla quale il provvedimento viene a esistenza e comincia a produrre i suoi effetti.

L'ordinanza in commento della Corte di cassazione è stata preceduta da un'altra ordinanza di pochi mesi anteriore, dal medesimo contenuto. Secondo Cass. civ. 5 febbraio 2025, n. 2840, il lodo arbitrale rituale, in quanto pienamente assimilabile a una sentenza giurisdizionale sin dall'ultima sottoscrizione, a norma dell'art. 824-bis c.p.c., è come tale opponibile alla procedura fallimentare dalla suddetta data, nella quale il provvedimento viene a esistenza e comincia a produrre i suoi effetti. Curioso osservare che l'ordinanza n. 2840/2025 è stata pronunciata proprio contro la medesima società fallita. Vengono allora spontanee alcune riflessioni. Pare quasi che la clausola compromissoria fosse stata inserita nei contratti per rendere più complesso il recupero dei crediti da parte dei fornitori della s.r.l. debitrice. Laddove la giurisprudenza affermasse che il lodo da solo non consente l'ammissione del credito al fallimento, la clausola compromissoria potrebbe diventerebbe uno strumento per cercare di evitare di pagare i proprio debiti. Rispetto a questo rischio, la Suprema Corte pone un argine. Nel ricordare l'equiparazione di sentenza e lodo, diventa indifferente – sotto questo profilo – la previsione o meno di una clausola compromissoria nel contratto. Se si giunge a lodo rituale, vi è certezza dell'esistenza del credito. E la società debitrice, seppur fallita, deve pagare, anche se solo nei limiti materialmente consentiti dalla risorse che il curatore trova nel patrimonio della fallita. Il pagamento avverrà insomma nella moneta c.d. “fallimentare”, ossia nella misura percentuale ridotta a disposizione dei creditori.

Nel caso parallelo a quello in commento (deciso dall'ordinanza della Corte di cassazione n. 2840/2025 di tre mesi prima), il credito risultante da lodo arbitrale ammontava addirittura a € 777.418,90. Il giudice delegato e il Tribunale di Roma non ammettono il credito. Il Tribunale di Roma aveva ritenuto il lodo arbitrale rituale non opponibile alla procedura concorsuale, evidenziando la sua caratteristica di atto avente natura meramente privata, pronunciato da soggetti non aventi la qualità di pubblici ufficiali, con conseguente mancanza di data certa, conseguibile solo con il deposito dello stesso presso la cancelleria del tribunale. La Suprema Corte cassa il decreto del Tribunale di Roma, affermando che l'equiparazione tra lodo arbitrale rituale e sentenza non riguarda solo l'efficacia del lodo inter partes, ma anche nei confronti dei terzi. Oltre che dall'art. 824-bis c.p.c., la circostanza risulta dall'art. 829, n. 8, c.p.c., che, nell'introdurre la violazione del giudicato esterno come motivo di nullità, viene a equiparare completamente alla sentenza passata in giudicato il lodo non più impugnabile. Uno dei casi di nullità del lodo si verifica “se il lodo è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le parti” (così il n. 8 dell'art. 829 c.p.c.). Secondo l'ordinanza n. 2840/2025, il lodo è ontologicamente dotato di data certa, non essendo richiesto a tali fini il suo deposito presso la cancelleria del tribunale.

Ulteriori, importanti, tasselli in merito all'equiparazione tra sentenza e lodo arbitrale, sono stati forniti dalle Sezioni Unite. Secondo la Corte di cassazione a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 30 marzo 2021, n. 8776), nel contesto dell'impugnazione del lodo arbitrale per nullità, l'art. 828, comma 2, c.p.c. dà rilievo, ai fini della decorrenza del termine annuale, al momento in cui è apposta l'ultima sottoscrizione, proprio perché il lodo – salvo il disposto dell'art. 825 c.p.c. ai fini della sua esecutività – produce gli effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria dalla data della sua ultima sottoscrizione. Il legislatore – continuano le Sezioni Unite – ha così stabilito una corrispondenza tra la pubblicazione della sentenza (con la quale il provvedimento viene a esistenza e comincia a produrre i suoi effetti) e l'attività consistente nell'apposizione dell'ultima sottoscrizione degli arbitri. La decisione arbitrale viene parificata alla pronuncia giurisdizionale ed esiste sin dalla sua sottoscrizione, non essendovi un ufficio di cancelleria deputato al deposito per la pubblicazione.

La decisione in commento e le altre menzionate (compresa quella delle Sezioni Unite) hanno ormai determinato il superamento del precedente orientamento giurisprudenziale, che collocava il lodo arbitrale su di un piano inferiore rispetto alla sentenza. Secondo Cass. civ. 9 dicembre 2013, n. 27472, il lodo non acquista l'efficacia di una sentenza del giudice ordinario, ma rimane atto di autonomia privata. Questo orientamento deve considerarsi ormai superato.

Non è questa la sede per approfondire tutte le conseguenze derivanti dall'equiparazione di lodo arbitrale rituale e sentenza. Basterà menzionare la posizione di Cass. civ. 26 maggio 2014, n. 11634, secondo cui gli effetti tra le parti del lodo arbitrale rituale sono equiparabili a quelli della sentenza, avendo l'attività degli arbitri natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, con la conseguenza che degli effetti favorevoli al condebitore del lodo reso tra il creditore e uno dei condebitori solidali può giovarsi altro condebitore solidale che non sia stato parte del giudizio arbitrale, applicandosi pure al lodo l'effetto espansivo della sentenza previsto dall'art. 1306, comma 2, c.c.

La questione non è stata trattata nell'ordinanza della Corte di cassazione in commento, tuttavia si osservi che tra i creditori della procedura concorsuale ci saranno, se non ancora pagati, gli arbitri. Questi potranno dunque chiedere l'ammissione al passivo del proprio credito, totale o residuo (se hanno ricevuto degli acconti). La circostanza della pronuncia del loro rende indubbio che l'attività degli arbitri è stata prestata e non consente alla curatela di opporre le eccezioni che abbia trattato sopra. La curatela non potrà dunque sostenere, al fine di non pagare gli arbitri, che l'attività svolta ha natura meramente privata e che il lodo non è opponibile alla procedura. La data certa è quella dell'ultima sottoscrizione apposta al lodo.  

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