Giurisdizione alla prova della censura dell'atto politico: il caso nave "Diciotti"

Alessandro Rossi
14 Luglio 2025

L'autore commenta la nota decisione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sul trattenimento di migranti soccorsi in mare sulla nave “Diciotti”, decisione che costituisce uno spunto per l'Autore per riflettere sul complesso tema della giustiziabilità degli atti politici.

Massima

Il tema di responsabilità civile della pubblica amministrazione, il rifiuto governativo dell'autorizzazione allo sbarco dei migrantisoccorsi in mare in zona Sar dall'unità navale della Guardia Costiera "Ubaldo Diciotti" protratto per dieci giorni (nella specie perpetrato, per i primi quattro giorni, mediante il mancato consenso all'attracco della nave nei porti italiani e, nei successivi sei giorni, una volta permesso l'attracco della nave nel porto di Catania, a causa del mancato consenso allo sbarco nella terraferma) non può considerarsi atto politico, come tale sottratto al controllo giurisdizionale, trattandosi di atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, nel rispetto della regolamentazione, internazionale e nazionale, in tema di obblighi del soccorso in mare che ne segna i confini, non potendo giammai l'azione del governo, ancorché motivata da ragioni politiche, sottrarsi al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti imposti dalla Costituzione, dalle Convenzioni internazionali e dalla legge, specie quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini o delle persone straniere costituzionalmente tutelati; ne consegue che l'indebito trattenimento sulla nave dei migranti non ancora compiutamente identificati – e potenzialmente titolari di diritto di asilo ex art. 10, comma 3, della Costituzione – non rientrando tra le eccezioni al regime di privazione della libertà personale ammesso dall'art. 5, par. 1, lett. f), della Convenzione Edu né trovando altrimenti copertura sovranazionale quale misura assimilabile all'arresto o alla detenzione regolare finalizzata a impedire l'ingresso illegale nel territorio, integra un'ipotesi di forzata e arbitraria limitazione della libertà personale, qualificabile come evento dannoso risarcibile a titolo di danno morale da imputarsi alla responsabilità della pubblica amministrazione-apparato, a fronte di atto amministrativo adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l'esercizio della funzione amministrativa e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, in quanto limiti esterni alla discrezionalità amministrativa.

Il caso

La pronuncia Cass. civ., sez. un., 6 marzo 2025, n. 5992, tratta del tema del difetto assoluto di giurisdizione decidendo sui famosi fatti avvenuti sulla nave Ubaldo Diciotti (da adesso solo “Diciotti”). Nel caso di specie, alcuni migranti eritrei venivano privati della loro libertà personale in quanto, dal 16.8.2025 al 19.8.2025, veniva impedito alla nave Diciotti di attraccare e, dal 20.8.2025 al 25.8.2025, dopo l'attracco della stessa al porto di Catania veniva impedito ai naviganti di sbarcare sulla terra ferma.

A seguito dell'occorso i migranti hanno agito, ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., contro il Governo– in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri – dinnanzi al Tribunale di Roma al fine di ottenere la sua condanna al risarcimento del danno non patrimoniale da loro sofferto.

In primo grado le richieste dei ricorrenti venivano rigettate nel rito in quanto, secondo il giudice capitolino, nel caso di specie non sarebbe stata ammessa la censura dell'atto politico adottato dal governo, integrandosi così un'ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione del giudice italiano.

Nel giudizio di appello la sentenza veniva parzialmente ribaltata poiché la Corte arrivava ad affermare la giurisdizione del giudice italiano pur poi procedendo al rigetto nel merito delle pretese.

Avverso il provvedimento di seconde cure proponeva ricorso, affidandolo ad un singolo motivo, uno solo dei migranti denunciando, ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. in relazione agli artt. 13,24,111 e 117 Cost., all'art. 5 CEDU, all'art. 6 CDFUE e agli artt. 7 e 14 della direttiva 2008/115/CE. Il Governo, con proprio controricorso, proponeva ricorso incidentale “eventualmente condizionato” censurando, oltre che il vizio di difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, con il primo motivo la violazione dell'art. 7 c.p.a.

La Corte di cassazione — in contrasto solo apparente con la propria giurisprudenza che qualifica come condizionato, anche ove abbia ad oggetto la censura di questioni pregiudiziali di rito che andrebbero decise solo ove il punto non sia stato oggetto di pronuncia implicato o esplicita, il ricorso della parte completamente vittoriosa nel merito (ex plurimis, Cass., sez. un., 6 marzo 2009, n. 5456, in Riv. dir. proc. civ., 2010, 1, 188 ss. con nota di Panzarola, Sul condizionamento de jure del ricorso incidentale per cassazione del vincitore nel merito, in Foro it. 2009, 1, 3051 ss., con nota di Rusciano, Il ricorso incidentale della parte vittoriosa nel merito è condizionato de iure) — afferma di dover trattare in via preliminare il primo motivo di ricorso del Governo. Benché, infatti, sia stato proposto in via “eventualmente condizionata”, lo stesso va affrontato con priorità rispetto a quello proposto dalla ricorrente in quanto la questione relativa alla “giustiziabilitàdella causa è indissolubilmente legata a quella inerente la fondatezza nel merito.

La questione

Dirimente per la decisione della causa è la comprensione di cosa vada inteso per atto politico. Nell'ordinamento italiano, infatti, sussistono delle ipotesi in cui il giudice non può, in nessun caso, pronunciarsi sulla domanda proposta. Questo avviene nei casi in cui si censuri il merito amministrativo (Zingales, Pubblica amministrazione e limiti della giurisdizione tra strumenti costituzionali e strumenti processuali, Milano, 2007, 199 e Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2017, 1176 ss.), nell'ipotesi in cui si deduca in giudizio un interesse di mero fatto non tutelato dalla legge (Villata, La giurisdizione interna dell'ago e i giudici speciali, in Diritto processuale civile, a cura di Dittrich, I, Milano, 2018, 110) o quando sia adito il giudice per criticare gli atti politici o di governo (Barile, Atto di governo, voce dell'Enc. dir., IV, Milano, 1959, 220 ss. e Ranelletti, e Amorth, Atti politici (o di governo), voce del Noviss. Dig. it., I.2, Torino 1957, 1511 ss.).

L'atto politico sarebbe quello che, dal punto di vista soggettivo, è promanato da «un organo preposto all'indirizzo e alla direzione della cosa pubblica al massimo livello» e che, dal punto di vista oggettivo, è «libero nei fini perché riconducibile alle supreme scelte in materia di costituzione, salvaguardia e funzionamento» (Cons. st., sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 808). Per l'atto politico la giurisprudenza specifica pure che, oltre al dato formale di essere stato adottato da parte del Capo di Stato o da organi che appartengano al Governo dello Stato, vi debba essere il rispetto del dato sostanziale e che quindi lo stesso sia «emanazione dell'esercizio del c.d. “potere politico”, cioè della manifestazione più intensa del potere discrezionale in base a motivi ispirati da principi non determinati né apprezzabili giuridicamente» (Trib. Roma 10 ottobre 1991, in Nuova giur. civ. comm., 1992, II, 577 ss., spec. 580, con nota di Santoro, Nozione di “atto politico” e limiti del sindacato dell'autorità giudiziaria sugli atti della p.a.).

Gli atti politici, per ritenersi tali, devono essere, quindi, espressione di un'attività che viene compiuta in maniera pienamente e puramente discrezionale ed esercitata senza vincoli o limiti di sorta, anche ove essi siano stati autoimposti dal Governo stesso.

Il nodo da sciogliere per vagliare la soluzione offerta dal giudice di legittimità al caso di specie è il seguente: va compreso se l'agire del governo rientri nella funzione politica (con conseguente impossibilità di una sua censura dinnanzi al giudice italiano) oppure se gli atti compiuti possano essere qualificati come amministrativo (e come tali censurabili dinnanzi la magistratura).

Le soluzioni giuridiche

In materia sono rinvenibili due distinti orientamenti in tema di censurabilità dell'atto amministrativo.

In aderenza al primo, non si potrebbe mai arrivare alla censura di un atto politico. Lo stesso, in quanto emanato «un organo preposto all'indirizzo e alla direzione della cosa pubblica al massimo livello» e «libero nei fini perché riconducibile alle supreme scelte in materia di costituzione, salvaguardia e funzionamento», non è censurabile dinnanzi alla magistratura (Cass. civ., sez. un., 5 giugno 2002, n. 8157, in Corr. giur., 2003, 5, 637 ss., con nota contraria di Conti, La guerra “umanitaria” in Kosovo: nessuna tutela per le vittime civili dei bombardamenti N.A.T.O.). L'assenza di un criterio per valutare l'agire del Governo ­­— in tale accezione va vista, infatti, la citata libertà nei fini — fa sì che difetti alla radice un parametro attraverso cui valutare la correttezza dell'esercizio della funzione politica nel caso di specie. L'orientamento in analisi si pone in maniera conforme all'interpretazione tradizionale del principio della separazione dei poteri da intendersi quale sistema di controlimiti tra le tre funzioni dello stato (De Montesquieu, Lo spirito delle leggi, a cura di Cotta, Torino, 2015, passim e Segni, Giurisdizione (in generale), voce del Noviss. Dig. it., VII, Torino 1961, 987; per un'interpretazione più recente della tripartizione dei poteri che impone che ciascun potere possa stimolare l'altro a esercitare meglio le sue funzioni si rinvia a Guarna Assanti, Il ruolo innovativo del contenzioso climatico tra legittimazione ad agire e separazione dei poteri dello Stato. Riflessioni a partire dal caso Urgenda, in Federalismi, 2021, 17, 85 ss., spec. 87).

In aderenza ad un secondo orientamento, invece, l'atto politico sarebbe censurabile in via giurisdizionale ove lo stesso si ponga al di fuori dei limiti che la costituzione e la legge gli impongono, soprattutto ove siano in gioco diritti costituzionalmente tutelati (Corte Cost., 5 aprile 2012, n. 81, Pres. Quaranta, Est. Cartabia, in Giur. cost., 2012, 2, 1158 ss., con nota di R Chieppa e F. Bilancia, Una inammissibilità di ricorso per conflitto di attribuzioni rivestita da una opportuna motivazione sugli stretti limiti di discrezionalità politica non soggetta ad alcun sindacato giurisdizionale; similmente, affermando la possibilità di critica degli atti politici e di governo ove con gli stessi si censurino dei diritti soggettivi della persona non solo pieni ed assoluti ma anche fondamentali e insopprimibili, Cass. civ., sez. I, 26 marzo 2002, n. 4297, in Foro it., 2002, 1, 1626 ss., con nota di Scarselli, La ricusazione tra terzietà del giudice e indipendenza della magistratura). In tali ipotesi, quindi, si dovrebbe riconoscere un'autolimitazione — rinvenibile nelle disposizioni costituzionali o di legge — del proprio potere. Venuto meno il carattere della libertà nei fini, quindi, l'atto non potrebbe essere qualificato come politico ma avrebbe natura amministrativa potendo essere sottoposto al sindacato in via giurisdizionale.

Osservazioni

La Corte ha provveduto a rigettare il primo motivo di ricorso proposto dal Governo confermando, così, la statuizione di seconde cure nella parte in cui affermava il potere del giudice italiano nel decidere la controversia (si segnala, per completezza, che è la pronuncia d'appello è stata cassata nella parte in cui rigettava nel merito la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale).

La conclusione raggiunta appare da condividere. Non può negarsi, infatti, che in assenza della libertà nei fini (intesa quale mancanza di limiti al suo esercizio) l'atto posto in essere difetta del carattere della politicità dovendosi riconoscere allo stesso natura amministrativa. Lo Stato italiano, adottando le disposizioni costituzionali e non che riconoscono dei diritti in capo ai cittadini e agli stranieri e che lo vincolano alla tutela dei medesimi, si è, infatti, autolimitato non godendo, in determinati ambiti, della discrezionalità tipica che si riconosce all'azione politica.

Così stando le cose, allora, l'agire del governo può certamente essere censurato dinnanzi al giudice italiano e non può condividersi la pronuncia di difetto assoluto di giurisdizione adottata dal giudice di prime cure.

Riferimenti

Barile, voce Atto di governo, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 220 ss.

Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2017, 1176 ss.

R. Chieppa e F. Bilancia, Una inammissibilità di ricorso per conflitto di attribuzioni rivestita da una opportuna motivazione sugli stretti limiti di discrezionalità politica non soggetta ad alcun sindacato giurisdizionale, in Giur. cost., 2012, 2, 1158 ss.

Conti, La guerra “umanitaria” in Kosovo: nessuna tutela per le vittime civili dei bombardamenti N.A.T.O.

De Montesquieu, Lo spirito delle leggi, a cura di Cotta, Torino, 2015, passim

Guarna Assanti, Il ruolo innovativo del contenzioso climatico tra legittimazione ad agire e separazione dei poteri dello Stato. Riflessioni a partire dal caso Urgenda, in Federalismi, 2021, 17, 85 ss.

Panzarola, Sul condizionamento de jure del ricorso incidentale per cassazione del vincitore nel merito, in Riv. dir. proc. civ., 2010, 1, 188 ss.

Ranelletti e Amorth, voce Atti politici (o di governo), in Noviss. Dig. it., I.2, Torino, 1957, 1511 ss.

Rusciano, Il ricorso incidentale della parte vittoriosa nel merito è condizionato de iure, in Foro it. 2009, 1, 3051 ss.

Santoro, Nozione di “atto politico” e limiti del sindacato dell'autorità giudiziaria sugli atti della p.a. in Nuova giur. civ. comm., 1992, II, 577 ss.

Segni, Giurisdizione (in generale), voce del Noviss. Dig. it., VII, Torino 1961, 987

Villata, La giurisdizione interna dell'ago e i giudici speciali, in Diritto processuale civile, a cura di Dittrich, I, Milano, 2018, 110

Zingales, Pubblica amministrazione e limiti della giurisdizione tra strumenti costituzionali e strumenti processuali, Milano, 2007, 199

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