Il presente contributo, prendendo le mosse da alcuni recenti arresti della S.C. che ammettono le doppie presunzioni (semplici) si propone l’intento, previa una breve ricostruzione dell’istituto in questione, di riflettere sulle motivazioni esplicate dalla Corte di cassazione a sostegno di questo nuovo (minoritario) orientamento alla luce del dettato codicistico e delle caratteristiche strutturali di questo mezzo di prova induttivo.
Le presunzioni semplici: cenni introduttivi
In tema di presunzioni semplici, taluni recenti arresti della giurisprudenza di legittimità sembrano stiano inaugurando un nuovo orientamento nel senso dell'ammissibilità di quelle che sono note come doppie presunzioni o presunzioni di secondo grado o a catena (praesumptum de praesumpto). Prima di focalizzarci su dette pronunce, appare utile tratteggiare brevemente quelle che sono le caratteristiche delle praesumptio hominis ai sensi dell'art. 2729 c.c., in modo da poter riflettere con maggiore contezza rispetto al ragionamento esplicato dalla S.C.
Muovendo dall'art. 2727 c.c., che definisce le presunzioni come le conseguenze che “il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato”, si ricava la struttura inferenziale delle presunzioni semplici, le quali si fondano su un ragionamento logico-induttivo mediante il quale il giudice principiando da un fatto noto essenzialmente atipico (c.d. indizio) ricava per induzione, sulla base di una regola di esperienza, l'esistenza o l'inesistenza del fatto (ignoto) rilevante ai fini del decidere (Fabbrini Tombari, Presunzioni, in Dig. (disc. priv.), IV, Torino, 1996, 279). Dal punto di vista definitorio, il fatto noto, quale punto di partenza indefettibile del ragionamento presuntivo, è quello dotato delle caratteristiche della certezza e della concretezza in quanto provato mediante fonti materiali di prova, tramite il notorio o a seguito della non contestazione (Cass. civ., sez. I, 22 aprile 2024, n.10709, in DeJure.it). Il fatto “ignorato” è, invece, il fatto sul quale non sono state ancora acquisite prove idonee a dimostrarne l'esistenza o l'inesistenza e che tuttavia deve essere accertato in quanto fatto rilevante per la decisione della causa. A tal riguardo è bene precisare che, da un lato, l'ignoranza del fatto da presumere da parte del giudice va intesa solo nel senso che quest'ultimo non lo abbia ancora accertato (quanto alla sua verità o falsità) aliunde e, dall'altro, che il fatto, pur in questi termini ignoto, deve essere comunque allegato in giudizio, affinché possa essere valutato in astratto come rilevante (Taruffo, Presunzioni (diritto processuale civile), in EGT, XIV, Roma, 1991, 3) Come osservato da autorevole dottrina, la formula dell'art. 2727 c.c. comprende sia l'aspetto dinamico della presunzione fondata sul metodo inferenziale (i.e. l'attività del presumere dall'esistenza del fatto A la probabile esistenza del fatto B) sia la prova come elemento conclusivo dell'argomentazione inferenziale, vale a dire, la “conseguenza”, ossia ciò che viene dato per presunto, secondo l'id quod plerumque accidit, con una ragionevole certezza probabilistica, senza bisogno di farne oggetto di alcuna prova ad hoc; in altri termini la sussistenza del fatto B (Comoglio, Le prove civili, Torino, 2010, 649).
La caratteristica, per così dire strutturale, della presunzione semplice differenzia quest'ultima sia dalla presunzione legale, ma soprattutto dagli altri mezzi di prova collocati nel medesimo Titolo II del Libro VI del c.c. con ciò riferendoci sia alle c.d. prove dirette nelle quali il giudice ha una percezione diretta del fatto rilevante da provare sia delle prove c.d. rappresentative (Fabbrini Tombari, cit., 279) in cui il giudice percepisce un fatto per la rappresentazione che di quel fatto viene data. Da un punto di vista esteriore la presunzione semplice è da considerarsi un mezzo di prova vero e proprio, il quale (i) non è postergato o subordinato alle prove storiche, non sussistendo una gerarchia precostituita di efficacia dei mezzi probatori (eccezion fatta per la prova legale), sicché il giudice è libero di ricorrere alle presunzioni semplici anche in via esclusiva e preferendole agli altri mezzi di prova dedotti (Cass. civ., sez. III, 5.6.2007, n. 13082, in Giust. civ. Mass. 2007, 6) senza che, per converso, si debba impiegarla come extrema ratio, dopo l'esaurimento dei diversi mezzi probatori (Scardaccione, Le prove, Torino, 1965, 288-289); (ii) non risente a valle di alcuna differenziazione d'intensità o efficacia rispetto alle tradizionali prove libere, giacché ove ne ricorrano i presupposti anche una prova di tipo presuntivo può essere da sola sufficiente a fondare il convincimento del giudicante (Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1981, n. 1384, in Giust. civ. Mass. 1981, fasc. 3); (iii) non subisce alcun condizionamento dalle parti tanto nella verifica dei presupposti per l'utilizzo della prova presuntiva quanto nell'apprezzamento dell'esito a cui conduce la presunzione semplice che risolvendosi in un giudizio di fatto è incensurabile in sede di legittimità purché congruamente motivato (Cass. civ., sez. I, 28.5.2024, n.14852, in DeJure.it).
Quanto alle condizioni necessarie perché si possa conseguire la prova del fatto ignoto (factum probandum), l'art. 2729 c.c. richiede che gli elementi presuntivi siano gravi precisi e concordanti venendo meno in caso contrario la garanzia di ragionevole certezza circa la verità del fatto stesso. Tali requisiti non costituiscono, come sembra indicare la lettera della norma, condizioni di ammissibilità della prova presuntiva, ma rappresentano piuttosto i presupposti per il valido impiego del ragionamento inferenziale, escludendo che, in loro assenza, le presunzioni stesse possano fornire al giudice la piena prova del fatto ignoto (Taruffo, La prova dei fatti giuridici, in Tratt. Cicu, Messineo, Milano, 1992, 445). Rientra comunque tra i compiti del giudice di merito la valutazione circa la ricorrenza dei presupposti richiesti dalla norma in esame per valorizzare gli elementi di fatto come fonte di presunzione (Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 2025, n. 1903, in Giustizia Civile Massimario 2025). Qualora, peraltro, il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (e non già alla stregua dello stesso art. 360, comma 1, n. 5), competendo alla Corte di cassazione, nell'esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell'art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell'applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2008, n. 17535, in Giust. civ. Mass. 2008, 6, 1034). La definizione esatta del significato di tali requisiti non è peraltro agevole né univoca in dottrina. Si ritiene che il requisito della gravità implichi la necessità di un elevato grado di attendibilità della presunzione in relazione al convincimento che essa è in grado di produrre in capo al giudice; ciò non significa comunque che l'affermazione dell'esistenza del fatto ignorato debba desumersi dal fatto noto con assoluta certezza, essendo sufficiente un grado di probabilità superiore a quello che spetta all'opposta tesi della sua inesistenza (Comoglio, Le prove, in Tratt. Rescigno, I, Torino, 1997, 430). Ciò è del resto coerente con la struttura del ragionamento presuntivo e con la natura delle massime d'esperienza su cui esso si fonda. Ad analoga conclusione perviene la prevalente giurisprudenza, la quale non richiede che, attraverso l'inferenza presuntiva, si raggiunga l'assoluta certezza in ordine all'esistenza del fatto da provare, ma ritiene sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra questo ed il fatto noto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità e con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza (Cass. civ., sez. lav., 27 agosto 2024, n. 23154, in Giustizia Civile Massimario 2024 contraCass. civ., sez. lav., 26 maggio 1983, n. 3645, in Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 5). Il requisito della precisione si sostanzia nel concetto di non equivocità, valendo ad escludere la validità del ragionamento presuntivo ove da esso derivino conclusioni contraddittorie e non univocamente riferibili al fatto da provare. In linea con quanto detto circa il requisito della gravità, la conseguenza circa l'esistenza del factum probandum non deve necessariamente configurarsi come l'unica possibile, essendo sufficiente che essa sia la più probabile tra quelle che possono derivare dal fatto noto (Comoglio, Le prove, cit., 432; Taruffo, La prova dei fatti, cit., 447). La S.C. si esprime nel senso che il requisito della precisione impone che i fatti noti non siano vaghi, ma ben determinati (Cass. civ., sez. VI, 29 gennaio 2019, n. 2482, in Giustizia Civile Massimario 2019). Più complessa è infine la definizione del concetto di concordanza. Nel richiedere la sussistenza di tale requisito l'art. 2729 c.c. appare riferirsi alla necessaria convergenza sulla medesima conclusione di una pluralità di presunzioni semplici. Con ciò si dovrebbe escludere la possibilità di giustificare il ragionamento deduttivo ove questo sia fondato su un'unica inferenza presuntiva (Taruffo, Presunzioni, cit., 4). Sebbene questa interpretazione più rigorosa sia maggiormente idonea a garantire la razionalità del ragionamento presuntivo, in dottrina e soprattutto nella giurisprudenza, è invece prevalsa una interpretazione meno rigida, che conduce ad ammettere la validità dell'inferenza deduttiva anche quando essa si fondi su una sola presunzione, purché essa si configuri come grave e precisa (Comoglio, Le prove, cit., 432; Taruffo, La prova (in generale), in Digesto civ., XVI, Torino, 1997, 21). Svalutando il requisito della concordanza a mero elemento eventuale e non essenziale del procedimento logico presuntivo la giurisprudenza pressoché unanime della cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini della validità del ragionamento presuntivo, che esso si fondi anche su un'unica presunzione, ogni qualvolta essa sia dotata dei requisiti della gravità e della precisione (Cass. Sez. VI, 29.1.2019, n. 2482, in Giustizia Civile Massimario 2019).
Praesumptum de praesumpto(non)admittur? Le recenti pronunce della Corte di cassazione
Delineato brevemente il contesto dell'istituto che qui ci occupa non ci resta che dare conto di quello che si sta affacciando, per il momento in modo assai sporadico, come un nuovo orientamento giurisprudenziale da parte delle Corti di merito e che ha trovato conferma in almeno quattro arresti della S.C. Segnatamente, la Corte di cassazione in tali occasioni ha ammesso l'utilizzo delle doppie presunzioni o presunzioni di secondo grado o a catena per tale intendendosi un ragionamento induttivo che utilizza come “fatto noto” una presunzione semplice per inferire da quest'ultima la sussistenza o meno di un ulteriore fatto ignoto dando luogo ad una seconda presunzione semplice. In altri termini avente A come fatto noto e ricavato B quale ignoto, B viene considerato come nuovo fatto noto dal quale presumere C (nuovo fatto ignoto). Seppur con motivazioni leggermente differenti la ragione principale che giustificherebbe la c.d. doppia presunzione risiederebbe nell'assenza di un divieto esplicito in proposito tanto nel sistema processuale che negli artt. 2729 e 2697 c.c. potendo, perciò, il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un'ulteriore presunzione idonea - in quanto a sua volta adeguata - a fondare l'accertamento del fatto ignoto (Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 2025, n. 3520, in Diritto & Giustizia 2025, 13 febbraio, Cass. civ., sez. III, 27 maggio 2024, n. 14788, in Giustizia Civile Massimario 2024; Cass. civ., sez. V, 29 ottobre 2020, n. 23860, in Giustizia Civile Massimario 2020; Cass. civ., sez. trib. 1 agosto 2019, n. 20748, in Giustizia Civile Massimario 2019). Il percorso argomentativo della S.C. basato unicamente sul tenore, per così dire omissivo, del dettato normativo, non ci persuade. Affermare che le presunzioni a catena sarebbero ammissibili per il semplice motivo che non vi è alcuna norma che le vieti ci pare poco solido e disattento rispetto alle caratteristiche intrinseche delle praesumptio hominis parimenti codificate. In primo luogo, riteniamo più corretto focalizzarci su quello che è il meccanismo fondamentale della presunzione semplice previsto dall'art. 2727 c.c., ossia le conseguenze che si traggono “da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato”. Se allora (e lo è) il punto di partenza previsto dalla legge per l'operatività di questo mezzo di prova è il fatto noto dotato delle caratteristiche della certezza e della concretezza ne consegue che il giudice non è legittimato a trarre un fatto ignoto da un altro fatto a sua volto ignoto e come tale esso stesso presunto (Cass. civ., sez. lav., 5 aprile 2001, n.5090, in DeJure.it). Il divieto della c.d. praesumptum de praesumpto è piuttosto chiaramente desumibile dal testo di legge non già per via di un'espressa proibizione, ma tenuto conto, per l'appunto, dei requisiti codicistici necessari per la validità della presunzione semplice. Come osservato da attenta dottrina il denominatore comune è il presupposto di (relativa) certezza del fatto noto (o fatto indiziante) che nello sviluppo dinamico dell'argomentazione viene drasticamente a limitare ad un solo passaggio inferenziale la validità del risultato acquisito in via induttiva rendendo, perciò, inammissibili le presunzioni di secondo grado in cui si pretenderebbe di trarre un'inferenza da un'altra (cioè si voglia praesumere de prasesumpto) assumendo quale fatto noto o certo a fondamento della seconda il risultato inferenziale della prima, ossia un fatto soltanto presunto e, quindi, a sua volta una conseguenza non già necessaria e certa, ma tutt'al più verosimile o probabile tratta da un indizio iniziale (Comoglio, Le prove civili, cit. 670; Cass. civ., sez. I, 15 aprile 1994, n. 3593, in Giust. civ. Mass. 1994, 506) A quanto sopra, nel senso dell'inammissibilità delle presunzioni a catena, si aggiunga che (i) la sussistenza del fatto presunto oggetto della prima presunzione semplice rimane totalmente sottratta ad ogni possibilità di controllo delle parti in contraddittorio tra di loro (Andrioli, Presunzioni (Diritto civile e Diritto processuale civile), in Nov. dig. XIII, Torino, 1966, 770-771), sicché ammetterne l'impiego per un'ulteriore inferenza ci pare lesivo del principio appena menzionato; (ii) la gravità, la precisione e la concordanza lungi dal rappresentare una mera specificazione del prudente apprezzamento del giudice ex art. 116 c.p.c. rispondono all'esigenza che la definizione del procedimento logico non lasci luogo a dubbi (gravità), mentre il criterio della concordanza si risolve nella predicazione della coerenza (Andrioli, cit, 770), sicché tali criteri limitano la validità del procedimento logico di inferenza probatoria ad un solo passaggio ponendo il divieto di praesumptio de praesumpto.
Conclusioni
Il recente orientamento (per il momento largamente minoritario) che si rinviene in alcune pronunce della S.C. ci sembra poco persuasivo e ciò non soltanto perché potenzialmente pregiudizievole sia del principio dispositivo in materia di prove che di quello del contraddittorio, ma anche e, forse, soprattutto, in quanto non rinveniamo un solido sostrato normativo in grado di giustificarlo compiutamente. Per converso, riteniamo che le caratteristiche proprie della presunzione semplice per come dettate dal legislatore ed interpretate sia dagli studiosi che dalla giurisprudenza maggioritaria offrano una più condivisibile base normative per affermare la correttezza del principio praesumptum de praesumpto non admittur.
Riferimenti
In dottrina sul tema:
Montesano, Le prove “atipiche” nelle presunzioni e negli argomenti del giudice civile, in Riv. dir. proc., 1980;
Taruffo, sub art. 2729, in Comm. Cendon, VI, Torino, 1991, 210;
Patti, Probatio e praesumptio: attualità di un'antica contrapposizione, in Riv. dir. civ., 2001, 475;
Danovi, Le presunzioni nel sistema delle fonti di prova e nei rapporti con la prova contraria, in Foro pad., 2006.
In giurisprudenza sul tema del divieto della doppia presunzione:
Cass. civ., sez. trib., 20 dicembre 2022, n. 37252, in DeJure.it;
Cass. civ., sez. VI, 5 dicembre 2022, n. 35713, in Giustizia Civile Massimario 2023;
Cass. civ., sez. trib., 18 gennaio 2008, n. 1023, in DeJure.it;
Cass. civ., sez. trib., 21 dicembre 2007, n. 27032, in Diritto e Giustizia online 2008;
Cass. civ., sez. trib., 26 ottobre 2007, n. 22531, in DeJure.it;
Cass. civ., sez. lav., 20 giugno 2006, n. 14115, in Giust. civ. Mass. 2006, 6;
Cass. civ., sez. III, 21 luglio 1986, n. 4688, in Giust. civ. Mass. 1986, fasc. 7;
Cass. civ., sez. I, 13 maggio 1983, n. 3306, in Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 5.
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