Evasione dagli arresti domiciliari: la Corte costituzionale conferma la piena equiparazione tra imputato e indagato

La Redazione
16 Luglio 2025

La Consulta ha affermato che la punibilità dell'indagato per evasione dagli arresti domiciliari è conforme al significato originario dell'art. 385, comma 3 c.p., poiché il termine «imputato», secondo la normativa all'epoca vigente, includeva anche chi era sottoposto ad indagini.

Con la sentenza in esame, la Corte costituzionale ha affrontato un tema di grande rilevanza per la prassi giudiziaria e la teoria penalistica, dichiarando la  non fondatezza  della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Pisa sull'art. 385, comma 3 c.p. in relazione all'art. 25 Cost.

In particolare, la Consulta si è concentrata sulla possibilità, secondo il “diritto vivente”, di punire l'indagato  per l'evasione dagli  arresti domiciliari, benché il testo della norma menzioni esclusivamente l'imputato.

La questione nasceva da un procedimento penale a carico di una persona sottoposta ad indagini, la cui evasione era avvenuta in un  momento antecedente  all'esercizio dell'azione penale. Il giudice rimettente, consapevole che la prassi e la giurisprudenza estendono l'applicazione della norma  anche agli indagati, contestava la legittimità di tale interpretazione, evidenziando la differenza semantica e sistematica tra le due figure processuali e sostenendo che un'estensione analogica della norma sarebbe vietata  in malam partem.

La Corte, con un'analisi puntuale, ha ricostruito il percorso storico-normativo dell'art. 385 c.p., rilevando come, all'epoca della riformulazione del terzo comma (1982), la nozione di «imputato» coincidesse con quella di  chiunque fosse indiziato di reità, anche nella fase delle indagini preliminari, non essendo ancora stata introdotta la figura dell'«indagato» dal codice Pisapia-Vassalli del 1988. Di conseguenza, l'attuale «indagato» era ricompreso nel perimetro semantico dell'«imputato», secondo il codice di rito allora vigente.

Pertanto, leggere la disposizione alla luce del linguaggio tecnico attuale, senza considerare il significato originario del termine – secondo la Consulta - significherebbe disattendere la logica sistematica e la  ratio legis. Non si tratta, infatti, di un'applicazione analogica vietata, ma di una  corretta interpretazione evolutiva, che rispetta il principio di legalità e garantisce la coerenza dell'ordinamento.

  

*Fonte: DirittoeGiustizia

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