Malpractice sanitaria: spetta alla vittima provare il nesso causale tra inadempimento ed evento dannoso

22 Luglio 2025

Muovendo dal presupposto che la responsabilità in capo alla struttura sanitaria ha pacificamente natura contrattuale, il Focus illustra l’attuale stato dell’arte in tema di regime probatorio, con particolare riferimento alla dimostrazione del nesso di causalità materiale tra condotta sanitaria (commissiva oppure omissiva) ed evento dannoso.

Il contratto di spedalità e la responsabilità della struttura sanitaria

La giurisprudenza di legittimità prima (per tutte, Cass. civ., sez. III, sent. 11 marzo 2002, n. 3492; Id., sez. un., sent. 11 gennaio 2008, n. 577) e il Legislatore poi (L. 8 marzo 2017, n. 24, c.d. «Gelli - Bianco») hanno sancito che la struttura sanitaria risponde nei confronti del paziente, per i danni da questi subìti a causa di errate prestazioni diagnostiche o terapeutiche, a titolo di responsabilità contrattuale.

Recita il comma 1, art. 7 della L. n. 24/2017 cit.: «La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218  e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose».

La responsabilità discende dall'inadempimento o inesatto adempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto di spedalità o di assistenza sanitaria, che si conclude tra le parti anche per facta concludentia, per effetto della mera accettazione del paziente presso la struttura ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, obbligazioni che la stessa struttura (sia essa pubblica o privata, convenzionata o meno con il Servizio Sanitario Nazionale) è tenuta ad adempiere personalmente (rispondendone ex art. 1218 cit.) o mediante il personale del quale si serve per erogare le prestazioni richieste dal paziente (rispondendone ex art. 1228 cit.).

Il contratto di spedalità o di assistenza sanitaria è un contratto atipico a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, dal quale, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal Servizio Sanitario Nazionale o da altro ente, cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 26 gennaio 2006, n. 1698  ), sorgono a carico della struttura sanitaria, accanto ad obblighi di tipo lato sensu alberghiero (relativi a prestazioni secondarie e accessorie che, sebbene di carattere non strettamente sanitario, sono pur sempre funzionali alla presa in carico a scopi di cura, i.e. prestare assistenza al paziente, fornire vitto e alloggio in caso di ricovero), obblighi di messa a disposizione del personale ausiliario medico e paramedico, di medicinali e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni o emergenze (cfr., ex pluribus, Cass. civ., sez. III, sent. 14 luglio 2004, n. 13066; tra le decisioni di merito, Trib. Foggia, sez. I, 5 luglio 2024, n. 1846; Trib. Reggio Emilia, sez. II, 19 luglio 2024, n. 814; Trib. Bari, sez. III, 24 settembre 2024, n. 3933).

Come precisato, tra le altre, da Cass. civ., sez. III, ord. 15 marzo 2024, n. 7074 «la distinzione delle obbligazioni derivanti dal contratto atipico di spedalità tra obbligazioni adempiute personalmente e obbligazioni adempiute per il tramite del personale sanitario assume rilievo classificatorio con riguardo al contenuto della prestazione di volta in volta erogata, ma ad essa non corrisponde un diverso titolo di responsabilità, in quanto l'inadempimento delle prime, al pari di quello delle seconde, si traduce nella violazione della medesima regola contrattuale stipulata tra le parti e consistente nel contratto di spedalità».

Si è detto che, oltre che dell'inadempimento o inesatto adempimento degli obblighi posti direttamente a proprio carico, la struttura sanitaria è chiamata a rispondere anche dei fatti dolosi o colposi del personale del quale si sia avvalsa per l'adempimento della propria obbligazione contrattuale verso il paziente, pur in assenza di rapporto di dipendenza (non rileva che si serva, a tal fine, di dipendenti, collaboratori libero-professionali o esterni all'organigramma), trattandosi di propri ausiliari necessari (v., nell'ambito del «decalogo di San Martino», Cass. civ., sez. III, sent. 11 novembre 2019, n. 28987, secondo la quale detta responsabilità «trova radice non già in una colpa “in eligendo” degli ausiliari o “in vigilando” circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all'utilizzazione dei terzi nell'adempimento dell'obbligazione (Cass., 27/03/2015, n. 6243»).

È principio altrettanto pacifico in giurisprudenza che, pur essendo la responsabilità della struttura sanitaria per fatto proprio, ai sensi dell'art. 1228 cit., autonoma da quella del medico del quale essa si sia avvalsa in qualità di ausiliario, entrambi rispondono in via solidale nei confronti del paziente danneggiato, in ragione dell'insorgere dell'obbligazione risarcitoria per l'unicità dell'evento dannoso imputabile a più soggetti (ex pluribus, Cass. civ., sez. III, sent. 12 settembre 2022, n. 26811; Id., ord. 22 aprile 2024, n. 10787 sii

L'inadempimento dev'essere valutato tenuto conto dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività diagnostica e di cura in conformità alle migliori tecniche, conoscenze scientifiche e terapie del tempo, ovvero nel rispetto delle linee guida (che siano adeguate al caso concreto) o, in loro assenza, delle buone pratiche clinico-assistenziali.

L'inquadramento della responsabilità della struttura sanitaria come testé operato consente ora di affrontare il tema del riparto dell'onere della prova.

Nesso causale tra inadempimento ed evento dannoso: onere della prova

Può il paziente, quale creditore della prestazione sanitaria, limitarsi ad allegare l'inadempimento senza fornire la prova che esso sia stato causa dell'evento di danno?

È utile partire da una premessa definitoria, tratta da Spera D., Responsabilità civile e danno alla persona, Milano, 2025, 169 e ss.: «La causalità materiale lega la condotta (attiva od omissiva) all'evento lesivo (c.d. danno evento inteso come danno naturalistico provocato dalla lesione del bene o dell'interesse giuridico protetto, condizione necessaria ma non sufficiente per il risarcimento) e che risponde alla domanda “chi è stato?” (...)».

Nello specifico, in tema di inadempimento delle obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento non consiste nella lesione dell'interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l'obbligazione (perseguimento delle leges artis nella cura dell'interesse del creditore), bensì nella lesione del diritto alla salute (interesse primario del creditore, presupposto a quello contrattualmente regolato) (Cass. civ., sez. III, sent. 11 novembre 2019, nn. 28991 e 28992; più recentemente, Cass. civ., sez. III, ord. 21 ottobre 2024, n. 27142 , confermativa della sentenza di merito che, procedendo a un'autonoma valutazione delle circostanze di fatto prese in considerazione dalla consulenza tecnica officiosa, aveva ritenuto provato, secondo il criterio civilistico della «preponderanza dell'evidenza», la relazione causale tra la condotta sanitaria e l'evento morte, valorizzando in tal senso l'inesistenza di eventi intermedi tali da costituire di per sé causa efficiente dell'arresto circolatorio, diversi dalla cardiopatia insorta nel corso del travagliato iter operatorio).

Ricorda Rossetti come «nei giudizi di responsabilità medica l'accertamento del nesso causale deve essere preliminare ad ogni altro, ed in particolare a quello della colpa. Ciò vuol dire che il giudice di merito deve accertare separatamente dapprima la sussistenza del nesso causale tra la condotta illecita e l'evento di danno, e quindi valutare se quella condotta abbia avuto o meno natura colposa o dolosa» (Rossetti M., Il danno alla salute, Padova, 2021, 1032).

Per univoca giurisprudenza di legittimità (tra le tante, Cass. civ., sez. III, sent. 26 luglio 2017, n. 18392; Id., sent. 15 febbraio 2018, n. 3704; Id., ord. 23 ottobre 2018, n. 26700 ; Id., sent. nn. 28991 e 28992/19 cit.; Id., ord. 6 luglio 2020, n. 13872 ; Id., ord. 27 febbraio 2023, n. 5808 ; Id., ord. 12 maggio 2023, n. 13107 , Id., ord. 5 marzo 2024, n. 5922 ), spetta al paziente che agisce per il risarcimento del danno (o, se deceduto, ai suoi prossimi congiunti ed eredi) la prova della riconducibilità causale dell'evento lesivo (o letale) alla condotta sanitaria, secondo il principio civilistico del «più probabile che non», non essendo sufficiente la mera allegazione dell'inadempimento.

È pertanto il creditore della prestazione sanitaria a dover provare il legame tra la condotta del debitore e l'evento dannoso, anche a mezzo di presunzioni, mentre, solo una volta assolto detto onere probatorio, sarà il debitore (struttura o esercente la professione sanitaria) a dover dimostrare l'esatto adempimento o, in alternativa, l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile (ex permultis, Cass. sent. nn. 28991 e 28992/19 cit.).

In altri termini, ove il paziente abbia dimostrato l'esistenza di un valido nesso causale tra la condotta sanitaria e l'aggravamento della preesistente situazione patologica o l'insorgenza di nuova patologia, incombe sulla struttura, al fine di esimersi da responsabilità, l'onere di fornire la prova della specifica causa imprevedibile e inevitabile dell'impossibilità della prestazione.

In caso di omissione colposa di un trattamento diagnostico o terapeutico, per stabilire se la condotta doverosa che l'agente avrebbe dovuto tenere sarebbe stata in grado di impedire o meno l'evento di danno, considerate tutte le risultanze del caso concreto nella loro irripetibile singolarità, il giudizio controfattuale (che pone al posto dell'omissione il comportamento dovuto), da effettuarsi in base al criterio del «più probabile che non», va ancorato non solo alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di eventi (c.d. «probabilità quantitativa» o «pascaliana»), ma anche agli elementi di conferma e all'esclusione di quelli alternativi, disponibili nel caso concreto (c.d. «probabilità logica» o «baconiana») (ex multis, Cass. civ., sez. III, sent. 27 luglio 2021, n. 21530; Id., sent. 7 marzo 2022, n. 7355; Id., sent. 14 marzo 2022, n. 8114; App. Perugia sez. I, 13 luglio 2022, n. 341).

Tra gli innumerevoli arresti giurisprudenziali che hanno fatto applicazione dei principi sopraindicati, può menzionarsi l'ordinanza della Cassazione n. 21511 pubblicata il 31 luglio 2024 .

Allineandosi a un orientamento granitico e risalente nel tempo, sono in questa pronuncia riprese le principali questioni in tema di regime probatorio. L'occasione è offerta dalla vicenda giudiziaria di seguito riassunta.

La sentenza di primo grado aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dai genitori per la morte di uno di due gemelli, sul rilievo che era mancata la prova, posta a loro carico, della riconducibilità eziologica del decesso all'operato dei sanitari (era, invece, accolta parzialmente la domanda per l'invalidità del gemello nato vivo).

Il giudice di appello riformava solo in parte la sentenza di prime cure.

I coniugi proponevano ricorso per cassazione; resisteva con controricorso l'ente ospedaliero, proponendo ricorso incidentale.

Per quanto qui interessa, con il secondo motivo i ricorrenti sostenevano che il creditore della prestazione deve limitarsi ad allegare l'inadempimento senza dover dimostrare che esso sia stato causa del danno, spettando invece al debitore la prova negativa che l'inadempimento non ha inciso sul pregiudizio lamentato, secondo la regola posta dalla Cassazione nella sua massima sede nomofilattica con sentenza n. 577/08 cit., disattesa dalla giurisprudenza successiva in modo - a detta dei ricorrenti - discutibile, con richiesta di rimettere la questione nuovamente alle Sezioni Unite su tale aspetto.

La Corte ha reputato il motivo in esame infondato, atteso che, alla stregua delle risultanze dell'espletata consulenza officiosa, era emerso che, anche laddove si fosse dato tempestivo corso agli accertamenti ecografici e al parto cesareo, l'evento infausto sarebbe comunque occorso a causa delle patologie contratte dal feto nell'utero materno.

Richiamano, quindi, gli Ermellini il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale «compete al creditore della prestazione dimostrare non solo l'inadempimento della controparte ma altresì la sua efficacia causale, ossia il nesso causale tra l'inadempimento o, meglio, tra la condotta del professionista, ed il pregiudizio lamentato (Cass. 12760/ 2024; Cass. 2114/ 2024; Cass. 10050/ 2022)», indirizzo che, «per certi versi, neanche è in contraddizione con quello della citata decisione a sezioni unite numero 577 del 2008, la quale pure ha posto a carico del creditore la prova dell'inadempimento qualificato cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno».

Conclude, perciò, la Suprema Corte che «non vi è motivo di una rimessione alle sezioni unite».

Con ordinanza di poco anteriore, la n. 7074/24  citata nel paragrafo precedente, la medesima Sezione ha ribadito il principio per cui, «pur gravando sull'attore l'onere di allegare i profili concreti di colpa medica posti a fondamento della proposta azione risarcitoria, tale onere non si spinge fino alla necessità di enucleazione e indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciuti e conoscibili soltanto agli esperti del settore, essendo sufficiente la contestazione dell'aspetto colposo dell'attività medica secondo quelle che si ritengono essere, in un dato momento storico, le cognizioni ordinarie in ordine all'attuale stato dei profili di responsabilità del sanitario (Cass. 19/05/2004, n. 9471; v. anche Cass.26/07/2012, n. 13269)».

Si segnala, in tema di danno da emotrasfusione infetta e onus probandi, l'ordinanza della Cassazione n. 26091 del 7 settembre 2023 , con la quale è stata cassata la sentenza di merito che aveva addossato in capo alla paziente l'onere di provare la sua negatività al virus epatico al momento del ricovero, senza tener conto degli elementi dalla stessa addotti, suscettibili di fondare la prova presuntiva del nesso causale, quali l'assenza di fattori di rischio specifici, l'insorgenza della patologia a distanza di un anno dalla trasfusione e la mancata evidenza di eventuali cause alternative.

Nella pronuncia sono, quindi, ribaditi i seguenti principi di diritto in tema di danno da infezione trasfusionale: «è onere della struttura sanitaria dimostrare che, al momento della trasfusione, il paziente fosse già affetto dall'infezione di cui domanda il risarcimento», come pure «allegare e dimostrare di avere rispettato, in concreto, le norme giuridiche, le leges artis e i protocolli che presiedono alle attività di acquisizione e perfusione del plasma».

Con riferimento al ricorso alla prova presuntiva, si veda, ex ceteris, Cass. civ., sez. VI, ord.  26 novembre 2020, n. 26907, con la quale è stata cassata con rinvio la sentenza della Corte territoriale che, pur dando atto che la documentazione medica esaminata non consentiva di dimostrare direttamente che l'intervento eseguito fosse diretto a rimuovere una parte di vite metallica rimasta per errore nell'arto del paziente, non aveva valutato la rilevanza della stessa documentazione ai fini della prova per presunzioni.

Anche le modalità di compilazione e conservazione della cartella clinica hanno rilevanza riguardo al tema in discussione.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato a più riprese che la lacunosa redazione della cartella clinica, al pari della sua difettosa tenuta, non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, al quale, «anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell'accertamento dell'eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione del giudice di merito, che aveva escluso la responsabilità dei sanitari nonostante non risultassero per sei ore annotazioni sulla cartella clinica di una neonata, nata poi con grave insufficienza mentale causata da asfissia perinatale, così da rendere incomprensibile se poteva essere più appropriata la rilevazione del tracciato cardiotocografico rispetto alla mera auscultazione del battito cardiaco del feto).» (Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2016, n. 6209, in Giust. civ. Mass. 2016, Riv. it. med. leg. (e del dir. san.) 2016, 4, 1703).

Sempre sulla rilevanza dell'incompletezza della cartella clinica ai fini della dimostrazione della relazione tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente, si veda Cass. civ., sez. III, ord. 11 dicembre 2023, n. 34427, per cui «quando la mancata prova derivi dalle carenze colpose della condotta del medico, tipicamente omissive, e astrattamente idonee a causare il pregiudizio lamentato, quel “deficit” rileva non solo in punto di accertamento della colpa ma anche di quello del nesso eziologico, non potendo logicamente riflettersi a danno della vittima, sia pur in generale onerata della dimostrazione del rapporto causale» (più di recente, Cass. civ., sez. III, ord. 26 aprile 2024, n. 11224; Id., ord. 17 giugno 2024, n. 16737 ; tra le pronunce di merito, Trib. Milano, sez. I, 11 gennaio 2022; Id., 16 febbraio 2023, n. 1257  ; App. Bari, sez. III, 30 gennaio 2024, n. 134; Trib. Como, sez. II, 10 gennaio 2025, n. 16).

Se dunque, in caso di incompletezza della cartella clinica è possibile giungere a una condanna in base a un nesso di causalità «presunto» nei termini sopra precisati, cionondimeno l'irregolare o lacunosa tenuta della cartella clinica, pur costituendo violazione dello specifico dovere deontologico e del dovere di diligenza rispetto alla previsione generale contenuta nell'art. 1176 c.c., non può essere considerata autonoma fonte di responsabilità a carico del medico o della struttura sanitaria, ma può assumere valenza nell'ambito della prova del nesso eziologico qualora il medico abbia posto in essere un antecedente causale astrattamente idoneo a produrre l'evento dannoso (Cass. civ., sez. III, ord. 20 novembre 2020, n. 26428 ; nella giurisprudenza di merito, Trib. Catania, sez. V, 14 marzo 2020, n. 1035  ; App. Genova, sez. II, 8 febbraio 2021, n. 152).

Oneri probatori e causa incerta o ignota

La valutazione del nesso eziologico, sotto il profilo della dipendenza dell'evento di danno dai suoi antecedenti fattuali, rappresenta uno snodo cruciale per l'accertamento della responsabilità sanitaria e dev'essere compiuta secondo rigorosi criteri di probabilità scientifica.

Giova evidenziare che la causalità materiale non è sufficiente per avere una causalità giuridicamente rilevante, la quale impone di attribuire rilievo, secondo la teoria della regolarità causale o della causalità adeguata, con la quale va integrata la teoria della condicio sine qua non, a quei soli accadimenti che, al momento in cui si produce l'evento causante il danno, non siano inverosimili e imprevedibili, secondo un giudizio ex ante (di c.d. «prognosi postuma»), da ricondurre al momento della condotta e da effettuare secondo le migliori conoscenze scientifiche all'epoca disponibili (così, Cass. civ., sez. III, sent. 23 aprile 1998, n. 4186  ; Id., sent. 29 maggio 2015, n.11193; Id., sent. 19 febbraio 2016, n. 3261; Id., sent. 11 novembre 2019, n. 28985; tra le decisioni di merito, Trib. Salerno, sez. II, 9 luglio 2020, n. 1785).

Può accadere che, al termine dell'istruttoria, non sia individuabile con certezza la causa dell'evento di danno.

In tal caso, l'incertezza sul nesso eziologico tra la condotta sanitaria e l'evento lesivo o letale, secondo il criterio del «più probabile che non», non consente di accogliere la domanda risarcitoria.

Diversamente, se resta incerta la causa dell'impossibilità di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova ricadono sulla struttura o sull'esercente la professione sanitaria.

Ha precisato in proposito la Corte di Cassazione: «se resta ignota anche mediante l'utilizzo di presunzioni la causa dell'evento di danno, le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore della prestazione professionale, se invece resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale, ovvero resta indimostrata l'imprevedibilità ed inevitabilità di tale causa, le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore» (Cass. sent. nn. 28991 e 28992/19 cit.; principio ribadito in Cass. civ., sez. III, 19 agosto 2020, n. 17322; Cass. civ., sez. VI, ord. 31 agosto 2020, n. 18102; Id., ord. 18 settembre 2020, n. 19631Id., sent. 24 gennaio 2023, n. 2042, Id., sent. 23 febbraio 2023, n. 5632, Id. n. 27142/24 cit.).

In conclusione

In tema di regime probatorio, non basta la dimostrazione della condotta inadempiente o colposa per affermarne la responsabilità della struttura o dell'esercente la professione sanitaria per l'insorgenza (o l'aggravarsi) della condizione patologica o per la morte del paziente, occorrendo in aggiunta il raggiungimento della prova del nesso causale tra condotta ed evento di danno, secondo la regola della riferibilità causale dell'evento stesso all'ipotetico responsabile, la quale presuppone una valutazione nei termini del «più probabile che non».

La Corte di Cassazione, nell'ambito del c.d. «decalogo di San Martino» con sentenze nn. 28991-28992/19 cit. (ove è stato trattato in maniera organica il tema dell'accertamento e degli oneri probatori sul nesso di causalità), ha messo in evidenza un duplice ciclo causale: il primo relativo all'evento dannoso («a monte») e il secondo relativo all'impossibilita di adempiere («a valle»).

Sul piano processuale, le conseguenze di tale inquadramento comportano che spetta al paziente che si assume danneggiato, quale creditore della prestazione sanitaria, dimostrare il rapporto contrattuale (dunque, l'esistenza del contratto dal quale è sorto il rapporto di cura) e il danno evento (che può consistere nell'aggravamento di una patologia preesistente ovvero nell'insorgenza di una nuova patologia), nonché allegare la condotta inadempiente o colposa della struttura o dell'esercente la professione sanitaria, che deve essere astrattamente efficiente (quale causa o concausa) alla produzione del danno.

Spetta sempre al paziente dimostrare la ricorrenza del nesso di causalità materiale, da accertarsi con il criterio della «preponderanza dell'evidenza», che si sostanzia nella prova che l'esecuzione o l'omissione della prestazione medico-sanitaria si è inserita nella serie causale che ha condotto all'evento di danno.

Solo una volta che il paziente ha dimostrato che l'aggravamento della condizione patologica o la nuova patologia sono causalmente riconducibili alla condotta sanitaria, la struttura sarà tenuta a fornire la prova liberatoria che l'evento si è verificato per cause ad essa non imputabili, ovvero la dimostrazione di aver adempiuto esattamente la prestazione oppure che una causa imprevedibile e inevitabile ne ha reso impossibile l'esecuzione.

Ciò per quanto concerne la responsabilità contrattuale.

Sul versante della responsabilità aquiliana, l'intero onere probatorio si trasferisce sul richiedente, il quale è tenuto ad allegare e provare la condotta colposa (commissiva od omissiva), il nesso causale e la correlazione eventistica.

La Corte di legittimità, con ripetute pronunce (tra le altre, Cass. civ., sez. III, sent. 8 luglio 2020, n. 14258; Id., sent. 9 luglio 2020, n. 14615; Id., ord. 6 maggio 2022, n. 14471; Id., sent. 3 marzo 2023, n. 6386), ha affermato che il diritto al risarcimento è azionabile iure proprio dagli stretti congiunti del paziente (leso o deceduto) a titolo di responsabilità extracontrattuale: difatti, essi sono estranei al contratto di spedalità, avendone patito le conseguenze dannose per un profilo (il rapporto parentale) che non è stato coinvolto nella prestazione sanitaria e che subisce i soli riflessi negativi delle prestazioni rese dalla struttura.

Per quanto sopra chiarito, è prevista una diversa distribuzione dell'onere probatorio quando a dedurre il fatto illecito siano i prossimi congiunti del paziente: la condotta censurabile potrà rilevare unicamente come illecito aquiliano, da far valere e da accertare ai sensi dell'art. 2043 c.c. (tra le tante pronunce di merito, Trib. Milano, sez. I, 12 agosto 2022; Trib. Roma, sez. XIII, 3 aprile 2023, n. 5317; Trib. L'Aquila, sez. I, 23 agosto 2023, n. 563; Trib. Bari, sez. III, 18 settembre 2024, n. 3876).

Guida all'approfondimento

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Lattanzi U., Il Tribunale di Milano segue la Cassazione in tema di onere della prova del nesso causale e di rivalsa della struttura sanitaria, in Riv. it. med. leg. (e del dir. san.), fasc.2, 2021, 620.

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Serpetti A.B., Onere della prova in tema di responsabilità medica da infezione da emotrasfusione, in IUS Responsabilità Civile, 28 Giugno 2021.

Sirena P., Danno-evento, danno-conseguenza e relativi nessi causali. Una storia di superfetazioni interpretative e ipocrisie giurisprudenziali, in Resp. civ. prev., fasc.1,1 gennaio 2023, 68

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