Non è illegittima la previsione di un termine di ragionevole durata delle procedure concorsuali
23 Luglio 2025
La Corte costituzionale ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89/2001, sollevate dalla Corte d’appello di Venezia secondo cui «il comma 2-bis avrebbe introdotto un automatismo in forza del quale, una volta superato il termine di sei anni, la durata della procedura risulterebbe sempre irragionevole, così svuotando di significato il disposto del comma 2 dell’art. 2 della legge n. 89/2001». Nella sentenza n. 102/2025, i giudici evidenziano che la giurisprudenza di legittimità consolidata, che costituisce diritto vivente, ha introdotto un temperamento alla previsione contenuta nel comma 2-bis, ritenendo “tollerabile”, nel caso di procedura concorsuale di notevole complessità, una durata di sette anni (ex plurimis, Cass. civ., sez, II, ord., 25 luglio 2023, n. 22340, con ampi richiami ai precedenti), secondo lo standard ricavato dalle pronunce della Corte EDU, che trovava applicazione già prima dell’intervento con cui il legislatore del 2012 ha fissato i termini di durata ragionevole. Il temperamento introdotto in via interpretativa, peraltro, impone al giudice dell’equa riparazione di dare conto delle ragioni della “notevole complessità” della procedura, a loro volta desunte dalla giurisprudenza della Corte EDU, quali il numero dei creditori, la particolare natura o situazione dei beni da liquidare (ad esempio partecipazioni societarie, beni indivisi), la proliferazione di giudizi connessi, la pluralità di procedure concorsuali interdipendenti. Le richiamate pronunce di legittimità non mancano di precisare che il giudice dell’equa riparazione non ha discrezionalità nella determinazione della congruità del termine di ragionevole durata, come chiarito da questa Corte nella sentenza n. 36/2016, fermo restando che, in presenza delle anzidette caratteristiche, è tollerabile una durata della procedura concorsuale fino a sette anni. Il giudice a quo censura, dunque, il comma 2-bis dell’art. 2 della legge n. 89/2001, come interpretato dal diritto vivente, senza coglierne l’effettiva portata, poiché imputa a quest’ultimo di avere inteso il termine ivi fissato in modo rigido, per effetto del quale, superati sei anni, la procedura concorsuale produrrebbe sempre e comunque la lesione del diritto alla ragionevole durata. Si tratta di un errore di ricognizione che invalida il presupposto dal quale muovono le censure orientate a stigmatizzare l’inadeguatezza del termine e l’automatismo che governerebbe l’accertamento della ragionevole durata delle procedure concorsuali. Del resto — precisano in ultima analisi i giudici della Corte — la non fondatezza delle questioni trova conferma nell’esame dei precedenti della Corte costituzionale sul tema e, segnatamente, nelle pronunce nn. 36/2016 e 205/2023. Da esse si desume il principio che, se il termine di ragionevole durata fissato dal legislatore nazionale è modellato sulla giurisprudenza della Corte EDU, non sono ravvisabili violazioni del parametro convenzionale. Questa conclusione ridonda sul giudizio di compatibilità costituzionale del termine di volta in volta sottoposto a scrutinio anche sotto il profilo della ragionevolezza. |