Gli effetti della conflittualità genitoriale sulla prole come elemento di discrimine per la scelta tra affidamento condiviso e affidamento esclusivo

23 Luglio 2025

Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione si sofferma sulle circostanze che conducono i giudici a disporre l’affidamento esclusivo della prole minorenne a un solo genitore in luogo dell’affidamento condiviso. In tale ottica, la Suprema Corte si sofferma, da un lato, sul proprio ruolo - specificando di essere impossibilitata a entrare nel merito del “fatto storico” già analizzato dai Giudici di primo e di secondo grado - nonché sulla natura e sulla funzione della CTU e, dall’altro lato, sulla conflittualità genitoriale come elemento alla luce del quale devono essere analizzati gli effetti che la predetta conflittualità produce sul rapporto genitori-figli. Il mero conflitto genitoriale, infatti, non è ritenuto di per sé sufficiente a precludere la previsione dell’affidamento condiviso, ma - per disporre l’affido esclusivo in luogo di quello condiviso - è necessario e fondamentale esaminare nel dettaglio, e mediante un giudizio prognostico, le conseguenze che tale conflittualità avrà sui figli minori.

Massima

In tema di separazione personale, e, più in generale, in tema di rapporti tra coniugi o tra due parti con figli minori, la mera conflittualità tra i genitori non preclude, di per sé, il ricorso al regime dell’affidamento condiviso (sempre da prediligere), salvo che non vengano superati i limiti di un tollerabile disagio per la prole, tanto da arrivare a compromettere l’equilibrio e lo sviluppo psicofisico dei figli, con conseguente pregiudizio dei loro interessi: in tal caso, non vi sarà altra soluzione se non disporre l’affidamento esclusivo a un solo genitore.

Il caso

All'esito di un procedimento di primo grado in cui il Tribunale di Castrovillari aveva disposto l'affido condiviso del figlio minore, con collocamento prevalente presso il padre, nonché l'assegnazione della casa coniugale a quest'ultimo, la regolamentazione del diritto di visita tra madre e figlio e un contributo materno al mantenimento del minore di euro 150,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie a carico di ciascun genitore, la Corte d'Appello di Catanzaro accoglieva la domanda della ricorrente, riformando la sentenza di primo grado.

I Giudici di secondo grado, nel modificare l'affidamento (da condiviso a esclusivo alla madre) e il collocamento del minore (da prevalente presso il padre a prevalente presso la madre), prevedendo altresì un calendario di visite padre-figlio a cadenza settimanale - da effettuarsi, inizialmente, presso la sede dei Servizi Sociali incaricati, salvo valutare una modifica e un ampliamento in caso di positiva evoluzione delle dinamiche familiari -, fondava la propria decisione sul fatto che il Tribunale non avesse tenuto in debito conto la personalità aggressiva e violenta del padre.

Secondo quanto emerso nel corso del giudizio di primo grado, infatti, il padre non solo aveva ostacolato i rapporti madre-figlio, svalutando la figura materna, ma si era anche reso responsabile di maltrattamenti in danno della compagna, anche alla presenza del minore. Condotte queste ultime che, in un'occasione, avevano richiesto l'intervento delle Forze dell'Ordine, causando la successiva emissione di un divieto di avvicinamento del padre ai luoghi frequentati dalla ex compagna.

La Corte d'Appello riformava, così, la decisione di primo grado anche in punto economico, ponendo a carico del padre un assegno di mantenimento per il figlio di euro 200,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie.

Alla luce della riforma del provvedimento di primo grado, il padre presentava ricorso per Cassazione, fondato su quattro motivi.

Con il primo motivo, il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 6, 12, 16, 19 della Convenzione Internazionale di New York sui diritti del fanciullo, degli artt. 3, 4, 5, 6 della Convenzione Europea di Strasburgo sui diritti del fanciullo, dell'art. 337-octies c.c. sull'ascolto del minore, dell'art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in relazione all'art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.

Secondo il padre - che ha, fin da subito, richiamato le pronunce con cui la Corte di legittimità ha affermato, negli anni, che deve essere disposto l'affido esclusivo laddove sussistano circostanze eccezionali - la Corte d'Appello, prevedendo l'affidamento esclusivo del figlio minore alla madre (e la conseguente brusca interruzione dei rapporti continuativi con il padre e la di lui famiglia d'origine), non aveva tenuto in considerazione le possibili ripercussioni che una simile scelta avrebbe potuto avere sul minore, il quale non era stato ascoltato dai Giudici.

Con il secondo motivo, il padre ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 315-bis c.c. e 337-ter, 337-quater c.c. e 337-quinquies c.c., in quanto, secondo il ricorrente stesso, i Giudici di secondo grado avevano deciso senza valutare il preminente interesse del minore in relazione alla posizione oggettiva del medesimo e non in relazione alla posizione soggettiva dei genitori. Ovvero, secondo il ricorrente, a nulla rilevavano i rapporti personali tra i genitori e la loro conflittualità, in quanto non era nel preminente interesse del minore essere allontanato dalla casa e dall'ambiente in cui era cresciuto fin dalla tenera età (nel caso di specie, la casa paterna).

Con il terzo motivo, il ricorrente ha denunciato l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art. 360, c. 1, n. 5, c.p.c., in quanto, sempre secondo il ricorrente, il Tribunale non avrebbe tenuto in considerazione le risultanze emerse dagli accertamenti peritali (CTU svolta in primo grado), laddove era emerso che - pur essendo il contesto paterno potenzialmente suggestivo a danno del rapporto con la madre - il minore aveva un buon rapporto con la madre, senza che vi fosse la presenza di segnali anomali nella relazione madre-figlio.

Con il quarto e ultimo motivo, il padre ha denunciato l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art. 360, c. 1, n. 5, c.p.c., per la mancata valutazione comparativa degli effetti sul minore del trauma dell'allontanamento dalla casa familiare rispetto al beneficio atteso, dal momento che la CTU aveva indicato la necessità del figlio di frequentare con regolarità entrambi i genitori.

La controricorrente, costituendosi in giudizio, ha resistito con controricorso.

La questione

Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione si sofferma sulle circostanze che conducono i giudici a disporre l’affidamento esclusivo a un solo genitore della prole minorenne in luogo dell’affidamento condiviso a entrambi i genitori.

In tale ottica, la Suprema Corte si sofferma, da un lato, sul proprio ruolo - specificando di essere impossibilitata a entrare nel merito del “fatto storico” già analizzato dai Giudici di primo e di secondo grado – nonché sulla natura e sulla funzione della CTU e, dall’altro lato, sulla conflittualità genitoriale come elemento alla luce del quale devono essere analizzati gli effetti che la predetta conflittualità produce sul rapporto genitori-figli.

Il mero conflitto genitoriale, infatti, non è ritenuto di per sé sufficiente a precludere la previsione dell’affidamento condiviso, ma - per disporre l’affido esclusivo in luogo di quello condiviso - è necessario e fondamentale esaminare nel dettaglio, e mediante un giudizio prognostico, le conseguenze che tale conflittualità avrà sui figli minori.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione, nell’esaminare congiuntamente i quattro motivi di ricorso - in quanto tutti attinenti (seppur sotto diversi profili) al regime di affidamento del minore - ha ritenuto le doglianze del ricorrente in parte infondate e in parte inammissibili.

Quanto al profilo dell’inammissibilità, il ragionamento logico-giuridico della Suprema Corte trae origine dalla nota pronuncia a Sezioni Unite Cass. n. 8053/2014, attraverso la quale, la sez. I della Corte di cassazione coglie l’occasione per precisare che le doglianze avanzate da una parte sono da ritenersi ammissibili laddove contestino un errore del giudice di merito nella ricostruzione del fatto storico o un vizio nella motivazione che ne deriva, non essendo sufficiente lamentare una diversa valutazione delle prove o una diversa interpretazione delle norme, se il fatto storico accertato è coerente con la decisione.

La Suprema Corte, infatti, ha affermato più volte che “in sede di legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal giudice del merito circa la propria statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell’argomentazione (fatto probatorio – massima di esperienza – fatto accertato) senza che sia consentito alla Corte sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata o confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione”.

Chiarito quando un motivo di ricorso sia ammissibile, la Corte di Cassazione si sofferma sulla natura giuridica della CTU, chiarendo, ancora una volta, di come si tratti di un atto processuale che “svolge la funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) ovvero, in determinati casi (come in ambito di responsabilità sanitaria), fonte di prova per l’accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente) – in quanto essa costituisce mero elemento istruttorio da cui è possibile trarre il “fatto storico”, rilevato e/o accertato dal consulente, il cui esame il giudice di merito abbia omesso e che la parte è tenuta ad indicare sufficientemente”.

Ribaditi tali principi, i Giudici di legittimità, applicandoli al caso di specie, sono giunti alla conclusione che il ricorrente, in tal caso, ha fondato le proprie doglianze su di una censura carente sotto il profilo dell’autosufficienza e della specificità, posto che non ha indicato i) né i passaggi di interesse della motivazione, ii) né le ragioni per cui tali passaggi sarebbero omissivi rispetto al “fatto storico” che il ricorrente stesso ritiene decisivo, iii) né dove e come detto fatto storico sarebbe stato oggetto di discussione in contraddittorio, iv) né perché la sua considerazione sarebbe stata decisiva nell’escludere l’affidamento esclusivo del figlio alla madre.

Inoltre, secondo la Suprema Corte, il vizio invocato dal padre non concerne un “fatto storico”, bensì la mancata valutazione delle risposte ai quesiti del CTU e delle ragioni fattuali e giuridiche che avrebbero indotto i Giudici di Legittimità a discostarsi dalla relazione del CTU, o comunque la mancata valutazione comparativa degli effetti sul minore del trauma dell’allontanamento dalla casa familiare rispetto al beneficio atteso.

In relazione, invece, all’infondatezza delle doglianze di parte ricorrente, la Corte di Cassazione ha ripercorso i passaggi seguiti dai Giudici di secondo grado, confermandone la correttezza e la logicità, sostenendo come gli stessi abbiano correttamente ripercorso: - le risultanze istruttorie di cui alla relazione dell’Azienda Sanitaria Provinciale Consultorio di Corigliano circa le condotte aggressive e violente del ricorrente nei confronti della ex compagna (corroborate dall’emissione del divieto di avvicinamento); - la relazione del Consultorio nella parte relativa all’analisi psicologica delle parti; - il riferito condizionamento subito dal minore ad opera del padre; - le risultanze della CTU, laddove quest’ultima ha evidenziato come il minore stesse vivendo in una fase di vita profondamente confusa a causa della situazione familiare, come esistesse un forte condizionamento del minore da parte del padre, nonché come la perpetrazione di comportamenti violenti nei confronti di uno dei genitori e la loro reiterazione volte a disturbare il sereno svolgimento del rapporto con l’altro genitore non possano non condurre a un giudizio negativo sulle capacità genitoriale del genitore che tiene i predetti comportamenti; - la situazione di esasperata conflittualità tra le parti che è sfociata in episodi di violenza e maltrattamenti del ricorrente in danno della ex compagna anche alla presenza dei figli.

Secondo la Corte di cassazione, dunque, la Corte d’Appello ha tenuto certamente conto della centralità dell’interesse del minore, interesse che i Giudici di secondo grado non hanno sottovalutato a fronte della conflittualità tra i genitori, sulla quale si è indagato a fondo per vagliarne gli effetti sul rapporto genitori-figli.

Pertanto, la Suprema Corte ha chiarito che la decisione della Corte d’Appello di Catanzaro è pienamente conforme all’indirizzo prevalente secondo cui “in tema di separazione personale, la mera conflittualità tra i coniugi, che spesso connota i procedimenti separatizi, non preclude il ricorso al regime preferenziale dell’affidamento condiviso solo se si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, mentre assume connotati ostativi alla relativa applicazione, ove si esprima in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli e, dunque, tal ida pregiudicare il loro interesse”.

È proprio a fronte di tale assunto che, secondo la Corte, tra i requisiti di idoneità genitoriale rientra anche “la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena”. Per tale motivo, alla luce del consolidato principio per cui, in materia di affidamento dei figli minori, il giudice deve attenersi al fondamentale criterio dell’interesse morale e materiale della prole, deve essere privilegiato proprio quel genitore che appaia più idoneo a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare.

 Alla luce di tali consolidati principi, pertanto, la Corte di cassazione ha ritenuto infondati i motivi di illegittimità addotti dal ricorrente, posto che la Corte d’Appello, avendo sempre avuto come punto di riferimento il preminente interesse del minore, ha correttamente vagliato e approfondito la conflittualità genitoriale arrivando ad affermare che, nel caso di specie, ha profondamente inciso sul benessere psico-fisico del minore.

Osservazioni

Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione si sofferma nuovamente sulla linea sottile che separa l’affidamento condiviso da quello esclusivo, andando ad analizzare il ruolo della conflittualità genitoriale nella previsione del primo in luogo del secondo.

Se, da un lato, il conflitto tra i genitori non è, di per sé, sufficiente a far propendere un giudice per l’affidamento esclusivo della prole a un solo genitore in luogo del prediletto affidamento condiviso, dall’altro lato, rappresenta quell’elemento da approfondire nel dettaglio per studiare e comprendere gli effetti che potrebbe, in un futuro (neppure così lontano), avere sui figli minori.

Si ricorda che l’affidamento condiviso è quel regime di affidamento da prediligere in ogni caso, a tutela del diritto alla bigenitorialità dei figli minori.

Tuttavia, se, in un bilanciamento di interessi, l’affidamento condiviso risulta pregiudizievole per il preminente interesse del figlio minore (parametro di riferimento dei Giudici), la scelta dovrà ricadere sull’affidamento esclusivo.

Quest’ultimo, in ogni caso, non esclude il genitore non affidatario dalle scelte fondamentali da prendere nell’interesse del figlio minore. Tali decisioni dovranno sempre e comunque essere prese di concerto tra i genitori.

Solo in presenza del cosiddetto affidamento “super esclusivo” (esclusivo rafforzato), il genitore affidatario prenderà in autonomia tutte le decisioni - anche quelle più importanti come quelle sanitarie e scolastiche - nell’interesse della prole.

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