L'intervento volontario nel procedimento arbitrale
10 Settembre 2025
Il codice di procedura civile disciplina l'intervento volontario nell'arbitrato rituale all'art. 816-quinquies a mente del quale "l'intervento volontario o la chiamata in arbitrato di un terzo sono ammessi solo con l'accordo del terzo e delle parti e con il consenso degli arbitri"; prevede, altresì, che "sono sempre ammessi l'intervento previsto dal secondo comma dell'art. 105 e l'intervento del litisconsorte necessario". Appare subito evidente che le norme generali in materia di processo civile qui subiscono una limitazione per il semplice motivo che il procedimento arbitrale si fonda sulla volontà delle parti espressa nella convenzione arbitrale e non nel potere decisionale proprio di un organo giudiziario. L'intervento del terzo, infatti, potrà aver luogo, stante il disposto dell'art. 816-quinquies c.p.c., solo qualora il terzo manifesti una propria volontà inequivoca sostanzialmente adesiva alla convenzione arbitrale; di conseguenza il terzo chiamato che non risponda alla chiamata o che espressamente manifesti di non voler partecipare al giudizio arbitrale non potrà mai diventare parte del procedimento. Sul punto la giurisprudenza è chiara: “… ai sensi dell'art. 816-quinquies c.p.c., la chiamata in arbitrato di un terzo è ammessa solo con l'accordo del terzo, oltre che delle parti e con il consenso degli arbitri: ed è intuitivo che il chiamato il quale non risponda alla chiamata non manifesta certo di voler partecipare al giudizio arbitrale, di guisa che è del tutto fuor di luogo attribuirgli non tanto la veste di litisconsorte necessario, ma, a monte, anche soltanto quella di semplice parte di detto giudizio.” (così in motivazione, Cass. civ., sez. I, ord., 27 marzo 2023, n. 8670). Questa norma ha portata generale ma trova una specifica declinazione nell'ambito dell'arbitrato societario attraverso nel disposto dell'art. 838-ter c.p.c., il quale stabilisce che "nel procedimento arbitrale promosso a seguito della clausola compromissoria di cui all'art. 838-bis, l'intervento di terzi a norma dell'art. 105 nonché l'intervento di altri soci a norma degli artt. 106 e 107 è ammesso fino alla prima udienza di trattazione". Così, la norma generale di cui all'art. 816-quinquies (al di là dell'interpretazione assieme all'art. 838-ter c.p.c. che ha dato luogo a diversi problemi interpretativi che non possono però essere qui affrontati) trova, in ambito societario, una limitazione temporale: la prima udienza di trattazione (ed anche su tale concetto si sono aperte diverse interpretazioni su cosa si debba intendere per “trattazione” e cioè se si debba prediligere un approccio formale o sostanziale di effettivo svolgimento dell'attività istruttoria). Questo sbarramento si giustifica, per lo più, con l'esigenza di garantire la speditezza del procedimento arbitrale societario e di evitare che interventi tardivi possano compromettere l'efficienza del giudizio. Tirando le fila del discorso, quindi, si può affermare che l'intervento volontario nel procedimento arbitrale rituale in materia societaria è certamente possibile, ma è soggetto a condizioni più restrittive rispetto al processo ordinario e, nella specie, sconta una preclusione temporale scandita dalla prima udienza di trattazione; rimane fermo, altresì, il principio generale secondo il quale l'intervento in arbitrato presuppone “l'accordo del terzo” e cioè la sua positiva volontà di intervenire con ciò aderendo alla convenzione arbitrale. |