La disciplina dello “smart working” veniva introdotta nel nostro ordinamento dal Collegato Lavoro della Legge di Stabilità 2016, con Disegno di Legge n. 2233, presentato al Senato su iniziativa del Governo Renzi.
Il predetto DDL n. 2233-B, nel testo e nella numerazione approvata dalla Camera dei Deputati lo scorso 9 marzo 2017 (rubricato Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi di lavoro subordinato), dedica al lavoro “agile” tutto il Capo II (artt. 18 – 23) ripercorrendo pedissequamente – se fatta eccezione per l'articolo 20 in materia di “diritto all'apprendimento continuo e certificazione delle competenze del lavoratore” – il testo già approvato dal Senato della Repubblica.
La proposta legislativa si inserisce in quel processo di riforma del mercato del lavoro, meglio conosciuto come “Jobs Act” che, in materia contrattuale, dopo aver individuato quale contratto “tipico” quello subordinato, a tempo indeterminato, ha operato, poi, una sistemazione unitaria delle residue tipologie atipiche con il D.Lgs. n. 81/2015.
Lo smart working quindi, già solo per la sua “diversa collocazione sistematica”, non deve essere inteso come una nuova tipologia contrattuale, dovendosi piuttosto configurare come una diversa e più moderna "modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato", stabilita mediante accordo tra le parti e caratterizzata dall'utilizzo di strumenti tecnologici, eseguita in parte all'interno dell'azienda ed in parte all'esterno.
Così la norma definitoria: “Le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno dei locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.
Ebbene, una lettura attenta della disposizione sopra riportata dimostra quanto prima accennato; si tratta di una “diversa modalità di prestazione, nell'ambito di un contratto di lavoro subordinato” che, tuttavia, non necessariamente deve essere a tempo indeterminato, ben potendo essere il contratto sottostante un contratto a termine.
Ci si dovrà forse interrogare sulla compatibilità di altre tipologie contrattuali con la modalità “agile di esecuzione” (si pensi alla somministrazione di lavoro).
La norma infatti non esclude espressamente altre tipologie di lavoro, di natura “subordinata”.
La previsione, a mente della quale l'accordo sia rimesso alla definizione autonoma delle Parti, si ritiene debba fare esclusivo riferimento all'autonomia collettiva.
In effetti, non sono pochi gli accordi di rinnovo che hanno introdotto specifiche previsioni, in materia di lavoro agile (solo per citarne alcuni, cfr. Alimentari - piccola industria, accordo di rinnovo del 16 settembre 2016; Alimentari – artigianato, accordo di rinnovo del 23 febbraio 2017; Panificatori – artigianato, accordo di rinnovo del 23 febbraio 2017; Alimentari industria, accordo di rinnovo del 5 febbraio 2016; Energia – Eni, accordo di rinnovo del 25 gennaio 2017; Miniere - metallurgia, accordo di rinnovo del 15 febbraio 2017).
Dalle norme collettive esaminate si possono trarre importanti spunti “di prima applicazione” della disciplina in commento:
- la richiesta di svolgere la prestazione lavorativa secondo le modalità del lavoro agile dovrà provenire dal lavoratore, sebbene l'azienda mantenga la facoltà di stabilire se sussistono “le condizioni” di accoglimento della richiesta;
- vi è assoluta compatibilità tra le tipologie “atipiche” di rapporto di lavoro e la nuova modalità di svolgimento della prestazione di lavoro, salva la necessità aziendale di fissare dei parametri di sufficienza (della predetta prestazione);
- l'accordo con il quale viene disciplinato lo svolgimento della prestazione lavorativa “agile” potrà prevedere che lo stesso sia a termine o a tempo indeterminato, indipendentemente dalla natura del contratto di lavoro presupposto;
- preferibilmente dovrebbe essere il datore di lavoro a fornire al lavoratore gli strumenti necessari a rendere la prestazione lavorativa “agile”, salvo che non sia espressamente previsto che quest'ultimo si serva di dispositivi propri. Sul punto, tuttavia, potrebbe avanzarsi che la deroga appare quantomeno discutibile per i profili che attengono alla sicurezza del lavoratore che utilizza strumenti di lavoro propri e di cui il datore di lavoro potrebbe non avere contezza, in termini di manutenzione e rispetto delle più generali prescrizioni in materia di prevenzione e protezione (lavorando per altro la risorsa “a distanza”).
È evidente che sul punto si tornerà su concetti di responsabilità “quasi oggettiva” del datore di lavoro; si veda, ad esempio, la responsabilità del datore di lavoro anche nelle ipotesi in cui il lavoratore utilizzi, per rendere la prestazione lavorativa, l'autovettura personale;
- lo smart worker è inquadrato nello stesso livello e categoria contrattuale dei suoi colleghi ed è pienamente considerabile “in forze” all'interno dell'organizzazione aziendale ed ha ovviamente il diritto di esercitare ogni prerogativa sindacale.
Tra gli altri punti che meritano una particolare attenzione nel testo del disegno di legge è senza dubbio il riferimento alla assoluta equiparazione retributiva. Nel provvedimento viene, infatti, chiarito che il trattamento economico del lavoratore agile non dovrà essere inferiore a quello applicato ai dipendenti che svolgono le stesse mansioni in azienda.
È stato poi previsto e confermato – rispetto al disegno originale – anche il cosiddetto diritto alla disconnessione, nei tempi di riposo, dagli strumenti tecnologici di lavoro.
All'articolo 16 (che nella nuova numerazione approvata dalla Camera è l'articolo 19, rubricato “Forma e Recesso”) viene infatti ulteriormente devoluta all'accordo sindacale anche l'individuazione di precisi “tempi di riposo”, allo scopo di assicurare la predetta “disconnessione”.
Allo stato, si è invece completamente obliata la necessità di “rimediare” – almeno così parrebbe potersi confermare dalla lettura dei lavori parlamentari - ad un contrasto di norme che verrebbe a crearsi con l'approvazione definitiva del disegno di legge.
Quest'ultimo, infatti, prevede l'assoggettamento della prestazione di lavoro agile ai “soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva” (articolo 15, ora articolo 18 nel testo approvato dalla Camera del Disegno di Legge).
Non si dimentichi, infatti, che la vigente normativa sull'orario di lavoro esenta invece il “telelavoro” dai limiti di durata massima (peraltro ormai solo settimanale) della prestazione; diversamente, non avrebbe potuto essere atteso che è il lavoratore stesso a determinare la durata della sua prestazione “senza precisi vincoli di orario”) oltre tutto difficilmente superabile.
Condizione paradossale che finirebbe, quindi, per rendere sul punto, il vecchio “telelavoro” anche più “agile” del nuovo smart working.
Assai più elementare è invece la disciplina del recesso “dall'accordo” con il quale sono state previste le modalità di svolgimento agile della prestazione lavorativa.
L'articolo 16 del DDL (ora art. 19 nel testo approvato dalla Camera) esplicita che “l'accordo di cui al comma 1 può essere a termine o a tempo indeterminato; in tale ultimo caso, il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni. [..] In presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato.
In buona sostanza, in caso di accordo a tempo indeterminato, il recesso deve avvenire con un preavviso di almeno 30 giorni.
Manca invece una previsione per l'ipotesi di una indennità sostitutiva del preavviso, laddove le parti si trovino nella impossibilità di osservare detto periodo; allo scopo vengono piuttosto equiparati gli effetti della giusta causa ad un non meglio precisato “giustificato motivo”. Il che lascia intendere che, tanto in caso di motivo soggettivo che oggettivo, entrambi i contraenti potranno recedere senza osservare il periodo di preavviso.
Non viene neppure previsto secondo quali modalità dovrebbero regolarsi le parti in ipotesi volessero recedere “ante tempus” .
Già esaminate le lacune connesse alla descrizione dell'obbligo di sicurezza, laddove si arrivi a sottoscrivere un accordo in cui è il lavoratore a dotarsi della strumentazione necessaria a svolgere la prestazione lavorativa, nonché ad accollarsi i conseguenti oneri manutentivi. La previsione in materia di cui all'articolo 22 del DDL, approvato anche dalla Camera, evidenzia che detto obbligo “si esaurirebbe” – in ogni caso – consegnando al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza “un'informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro”.
Quasi a voler confermare i dubbi interpretativi sopra richiamati, si legge altresì al comma 2 che “il lavoratore è tenuto a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all'esecuzione della prestazione all'esterno dei locali aziendali”.
Allo stato, dalla disposizione non è dato neppure rinvenire a “completamento” un esplicito rinvio alle norme generali in materia di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro.