Animali in condominio
28 Giugno 2018
Inquadramento
L'art. 1138 c.c. nell'indicare i criteri ai quali deve uniformarsi il contenuto del regolamento di condominio, anche per quanto concerne il suo procedimento di formazione ed i limiti da esso inderogabili, al comma 5 prevede espressamente che le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. Il comma 5 dell'art. 1138 c.c. è stato aggiunto dall'art. 16 della legge 11 dicembre 2012, n. 220, recante modifiche alla disciplina del condominio negli edifici, entrata in vigore il 18 giugno 2013 ed è una delle novità della “riforma” del condominio. Nella stesura finale del nuovo testo dell'art. 1138 c.c. il termine animali “da compagnia” è stato sostituito con quello di animali “domestici” dai confini più incerti sotto il profilo del relativo inquadramento, al fine di estenderne la definizione ad un più ampio genus di animale “di affezione”. Infatti sebbene la legge non definisca la nozione di animale domestico, in mancanza di una precisazione normativa, ai fini dell'applicazione della nuova norma, per animale domestico va inteso l'animale che ragionevolmente e per consuetudine è tenuto in appartamento per ragioni affettive. In particolare, il Ministro della Salute in una notadel 18 marzo 2011 esplicativa sull'applicazione della legge n. 201/2010, che ha ratificato la Convenzionedi Strasburgo ed è in vigore dal 4 dicembre 2010, precisa che si intende per animale da compagnia ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto dall'uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e compagnia. Il legislatore ha quindi inteso recepire con una disposizione ad hoc inserita nel codice civile il mutato sentimento dell'essere umano verso gli animali d'affezione, cui ha fatto seguito un'interpretazione evolutiva ed orientata delle norme vigenti, la quale, impone di ritenere che l'animale non possa essere più collocato nell'area semantica concettuale delle “cose”, ma debba essere riconosciuto come “essere senziente”, e in tale ottica esprimendo la contrarietà per quelle norme del regolamento condominiale che dovessero prevedere il divieto per il singolo condomino di possedere o detenere animali domestici. Il comma 5 dell'art. 1138 c.c. enuncia genericamente che le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali domestici, senza specificare altro in ordine alla natura del regolamento di cui trattasi. La Suprema Corte aveva aperto alla detenzione di animali in condominio già prima dell'entrata in vigore della riforma sul condominio con la quale è stato introdotto il comma 5 all'art. 1138 c.c.. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità formatasi anteriormente all'introduzione della suddetta modifica normativa, dopo avere premesso che le clausole del regolamento condominiale che impongono limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà incidono sui diritti dei condomini, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca, da ciò conseguendo che tali disposizioni hanno natura contrattuale, in quanto vanno approvate e possono essere modificate con il consenso unanime dei comproprietari, dovendo necessariamente rinvenirsi nella volontà dei singoli la fonte giustificatrice di atti dispositivi incidenti nella loro sfera giuridica, ha stabilito che il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva (Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 2011, n.3705; Cass. civ., sez.II, 25 ottobre 2001, n.13164; Cass. civ., sez.II, 4 dicembre 1993, n. 12028). Nello stesso senso la prevalente giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Lecco, 9 febbraio 2012; Trib. Piacenza, 10 aprile 2001; Trib. Messina, 8 aprile 1981; Trib. Parma, 11 novembre 1968, quest'ultimo, a quanto consta, primo precedente giudiziario ad essersi occupato della relativa quaestio juris). La più recente giurisprudenza di merito (Trib. Cagliari, 22 luglio 2016) ha quindi disposto l'annullamento della norma del regolamento condominiale contenente il divieto di tenere cani, in quanto, il divieto scolpito dall'ultimo comma dell'art. 1138 c.c. costituisce espressione dei principi di ordine pubblico, dalla cui violazione discende necessariamente la nullità insanabile della statuizione ad esso contraria. È importante notare come nella motivazione, il Tribunale abbia preso posizione sulla problematica di diritto intertemporale, sancendo che la disposizione contenuta nel comma 5 dell'art. 1138 c.c., deve reputarsi applicabile a tutte le disposizioni con essa contrastanti, indipendentemente dalla natura dell'atto che le contiene (regolamento contrattuale od assembleare) ed indipendentemente dal momento dell'introduzione di quest'ultimo (prima o dopo la citata “novella” del 2012). L'eventuale norma regolamentare difforme da tale precetto è stata ritenuta inficiata da nullità, in quanto contraria ai principi di ordine pubblico, ravvisabili, per un verso, nell'essersi indirettamente consolidata, nel diritto vivente e a livello di legislazione nazionale, la necessità di valorizzare il rapporto uomo-animale e, per altro verso, nell'affermazione di quest'ultimo principio anche a livello Europeo (Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia, firmata a Strasburgo il 13 novembre 1987 e ratificata ed eseguita in Italia con la legge n. 201/2010, nella quale è sancito l'obbligo morale dell'uomo di rispettare tutte le creature viventi, e l'importanza degli animali da compagnia e il loro valore per la società per il contributo da essi fornito alla qualità della vita, ed il Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, ratificato dalla legge n. 130/2008, il quale, all'art. 13, stabilisce che l'Unione Europea e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti). L'introduzione del citato divieto è stata invero preceduta dai principi elaborati dalla giurisprudenza che, nel prendere posizione in merito alla legittimità dei regolamenti che vietavano l'accesso e il mantenimento di animali domestici negli appartamenti, aveva più volte sostenuto la necessità che essi fossero espressione, in caso di regolamenti assembleari, dell'unanimità dei consensi del condomini, siccome atti ad incidere, menomandole, sulle facoltà comprese nel diritto di proprietà, sia comune che esclusivo, dei singoli ovvero, in caso di regolamenti contrattuali predisposti dall'originario unico proprietario, che fossero richiamati negli atti di acquisto, costituendosi con essi servitù reciproche (Cass civ., sez. II, 25 ottobre 2001, n. 13164; Cass. civ., sez.II, 15 febbraio 2011, n. 3705), costituendo il rapporto uomo-animale un'attività realizzatrice della personalità umana. Secondo un'opinione emersa in dottrina, se è pur vero che l'intero dettato dell'art. 1138 c.c. sembra innegabilmente riferirsi al solo regolamento assembleare, la rubrica della suddetta norma non riporta alcuna indicazione circa la natura del regolamento, talché la nullità colpisce comunque la clausola contraria anche se contenuta in un regolamento c.d. contrattuale.
Alla luce della intervenuta modifica legislativa,nel rispetto delle normative di igiene e sicurezza di base, dovrebbe ritenersi consentito agli animali domestici accompagnati dal condomino-proprietario, anche l'ingresso in luoghi condominiali aperti alla sosta e/o transito dei condomini, come giardino, garage, scale ed ascensore al fine di non ostacolarne la libertà di entrata/uscita dall'abitazione. Non la pensa così una giurisprudenza di merito (Trib. Monza, 28 marzo 2017) che pur riconoscendo che il regolamento di condominio non può spingersi fino al punto da vietare un certo uso della proprietà singola, ovvero quello di detenere animali domestici, tenendo che il comma 5 dell'art. 1138 c.c.è muto sulla disciplina delle parti comuni, riguardando solo la disciplina della proprietà singola, ha ritenuto valida la clausola del regolamento contrattuale che vieta l'uso dell'ascensore per il trasporto di animali domestici. Tuttavia, sempre per quest'ultima giurisprudenza, tale diritto non può essere menomato né dal regolamento condominiale, né da una delibera assembleare presa a maggioranza che sotto tale aspetto specificamente considerato confliggerebbe con il disposto dell'art. 1138, comma 5, c.c. potendo essere impugnata nei trenta giorni dalla sua adozione, laddove tale limite sia talmente ampio, quanto ad operatività, da venire nella sostanza a limitare il diritto sulla proprietà singola ex art. 1138, comma 5, c.c., sancendo alla fine l'impossibilità di detenere un animale domestico, come nel caso in cui si impedisse l'uso con l'animale domestico del vialetto d'accesso o del corsello dei box, in quanto, il proprietario non potrebbe mai accedere alla propria abitazione con l'animale. In dottrina, si è invece rilevato che tale norma sembra da intendere come un'ulteriore materia, quella della detenzione di animali domestici, che il legislatore ha voluto sottrarre in modo assoluto all'autonomia privata dei condomini esercitabile in sede di approvazione del regolamento. Infatti, la legge n. 220/2012 intervenuta dopo la legge 4 novembre 2010, n. 201 (come detto, di ratifica della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia), all'art. 2, comma 1, lett. a), impegna ciascuna parte aderente a prendere i necessari provvedimenti per conferire effetto alle disposizioni di detta Convenzione per quanto riguarda gli animali da compagnia tenuti da una persona in qualsiasi alloggio domestico. Dunque, considerato che le norme circa l'uso delle cose comuni costituiscono uno dei contenuti tipici del regolamento di condominio (comma 1 dell'art. 1138 c.c.), la previsione che le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici, per la sua genericità, non può che essere spiegata come inerente sia l'uso delle cose comuni sia delle unità immobiliari di proprietà esclusiva. Infatti, è stata la stessa dottrina ad interrogarsi se ad esempio, prendere l'ascensore col proprio animale domestico, per una persona disabile su sedia a rotelle o cieca, costituisca una condizione di accesso alla propria abitazione indispensabile proprio come per altri è il transitare lungo il viale d'accesso alla propria abitazione. Appare quindi evidente come la disciplina delle aree comuni, non espressamente interessata dalla riforma, ne viene comunque indirettamente influenzata, posto che, non essendo possibile vietare la detenzione di animali in appartamento, appare difficile impedire al condomino possessore di animali di usufruire della parti comuni insieme al suo animale, che dovrà rispettare le regole di convivenza e preservare la possibilità di godimento degli spazi condominiali da parte degli altri condomini. In forza di quanto sinora detto, va ulteriormente precisato che neppure una decisione autonoma dell'amministratore d'istituire divieti in parti comuni dell'edificio può considerarsi valida. I condomini-proprietari dell'animale domestico devono ovviamente rispettare le norme igieniche, di quiete e sicurezza così da non ledere la libertà degli altri condomini, quando l'animale domestico esce dagli spazi privati di proprietà esclusiva ed entra in contatto con altre persone e/o animali domestici. Pertanto, nel caso in cui l'assemblea condominiale ponga un'indebita restrizione all'accesso di animali domestici agli spazi condominiali, il condomino-proprietario dell'animale domestico potrà fare ricorso al Giudice di Pace (entro 30 giorni), impugnandola per violazione del disposto del comma 5 dell'art. 1138 c.c. Ai sensi dell'art. 2052 c.c., secondo cui il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dallo stesso animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito, integra una responsabilità del proprietario dell'animale alternativa rispetto a quella del soggetto che ha in uso il medesimo (Cass. civ., sez.III, 4 febbraio 2014, n. 2414; Cass. civ., sez. III, 7 luglio 2010, n. 16023; Cass. civ., sez. III, 12 settembre 2000, n. 12025; Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 1992, n. 13016) e, tale responsabilità - che incontra il limite del caso fortuito, costituendo quindi un'ipotesi di responsabilità oggettiva - non trova il proprio fondamento in una specifica attività del proprietario, quanto, piuttosto, in una relazione, di proprietà o di uso, fra la persona fisica e l'animale domestico (Cass. civ., sez. III, 22 marzo 2013, n. 7260). Infatti del danno cagionato da un'animale domestico risponde ai sensi dell'art. 2052 c.c. il proprietario o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso in quanto la responsabilità si fonda non su un comportamento od un'attività - commissiva od omissiva - di costoro, ma su una relazione intercorrente tra i predetti e l'animale, e poiché il limite della responsabilità risiede nell'intervento di un fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno, la rilevanza del “fortuito” deve essere apprezzata sotto il profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre ad un elemento esterno, anziché all'animale che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi. Ne consegue che spetta all'attore provare l'esistenza del rapporto eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento dannoso secundum o contra naturam, comprendendosi in tale concetto qualsiasi atto o moto dell'animale quod sensu caret, mentre il convenuto, per liberarsi dalla responsabilità, dovrà provare non già di essere esente da colpa o di aver usato la comune diligenza e prudenza nella custodia dell'animale, bensì l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale (Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2016, n.10402; Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2014, n.17091). Pertanto, se la prova liberatoria richiesta dalla norma - che può anche consistere nel comportamento del danneggiato, ma per assurgere a fattore esterno idoneo a cagionare il danno deve avere i caratteri della imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità, ovvero della condotta colposa, specifica o generica - non viene fornita, del danno risponde il proprietario dell'animale, essendo irrilevante che il comportamento dannoso di questo sia stato causato da suoi impulsi interni imprevedibili od inevitabili. Tuttavia, già in epoca risalente, si era affermato il principio che qualora una norma contenuta in un regolamento condominiale vieti la detenzione di animali che possano turbare la quiete o l'igiene della collettività, il semplice possesso non è sufficiente a far incorrere i condomini in questo divieto, essendo necessario che si accerti effettivamente il pregiudizio causato alla collettività dei condomini sotto il profilo della quiete o dell'igiene (Pret. Campobasso, 12 maggio 1990). Va poi considerato che l'uso degli spazi comuni di un edificio in condominio facendovi circolare il proprio cane senza le cautele richieste dall'ordinario criterio di prudenza può costituire una limitazione non consentita del pari diritto che gli altri condomini hanno sui medesimi spazi, se risulti che la mancata adozione delle suddette cautele impedisce loro di usare e godere liberamente degli spazi comuni (Cass. civ., sez. II, 3 novembre 2000, n. 14353). Pertanto occorre raccogliere sempre e con gli appositi sacchettini le deiezioni, mai lasciare libero l'animale domestico per le scale condominiali, negli spazi condominiali chiusi e nei giardini condominiali, portare sempre con sè un deodorante nel caso di transito in ascensore, evitare di lasciare solo nell'appartamento o sul balcone per molte ore l'animale domestico. Se si possiede un giardino di proprietà utilizzato dall'animale domestico, deve essere sempre tenuto pulito dalle deiezioni in modo da evitare sgradevoli odori ai vicini. Il giardino, box o spazio privato dove vive l'animale domestico (si pensi a villette a schiera facenti parte della stessa gestione condominiale) deve essere pulito almeno una volta al giorno. Quanto invece al reato previsto dall'art. 659 c.p., si è affermato il principio che per aversi disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, è necessario che i rumori, gli schiamazzi e le altre fonti sonore indicate nella norma superino la normale tollerabilità ed abbiano attitudine a disturbare un numero indeterminato di persone (Cass. pen., sez. III, 3 luglio 2014, n. 45230), mentre la contravvenzione prevista dall'art. 674 c.p. è configurabile anche nel caso di “molestie olfattive” atteso che quando non esista una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo al criterio della normale tollerabilità di cui all'art. 844 c.c. che costituisce un referente normativo, per il cui accertamento non è necessario disporre una perizia tecnica, potendo il giudice fondare il suo convincimento su elementi probatori di diversa natura, e, dunque, anche ricorrendo alle sole dichiarazioni testimoniali dei vicini confinanti (Cass. pen., sez. III, 3 luglio 2014, n.45230).
A. Tomasini, Animali in condominio, in Archivio delle locazioni, del condominio e dell'immobiliare, 2017, fasc. 1, p. 69 A. Scarpa, Condominio, per i cani niente ascensore ci sono le scale, in Quotidiano giuridico, edizione on line, 6 aprile 2017 A. Cirla, Il regolamento condominiale non può vietare di tenere gli animali in casa, in Quotidiano giuridico edizione on line, 19 settembre 2016 M. De Tilla, Codice commentato del nuovo condominio, Cedam, 2016 G. Bordolli, Il divieto di tenere animali domestici in condominio, in Immobili & proprietà, 2015, fasc. 8-9, p. 501 P. Donadoni, Sulla natura giuridica della relazione con l'animale di affezione. La bioetica tra diritto di proprietà e diritto della personalità, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2014, fasc. 1, p. 259 V. Cuffaro, Riforma del condominio e animali domestici, in Archivio delle locazioni e del condominio, 2013, fasc. 3, p. 279 M. Sala, Gli animali domestici nel condominio dopo la riforma, 2013, Maggioli. A. Negro, Art. 2052 c.c.danno cagionato da animali, in Commentario al codice civile a cura di P. Cendon, artt. 2043-2053, Milano, 2008, p. 965 P. Lovati, Gli animali in condominio, in Immobili & Proprietà, 1999, fasc. 9, p. 494 P. Risotti, Gli animali in condominio, in Immobili & Proprietà, 1996, fasc. 12, p. 665
|