A fronte delle polemiche suscitate dai provvedimenti di concessione del differimento di esecuzione della pena o della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento adottate da alcuni Uffici di sorveglianza nei confronti di esponenti della criminalità organizzata in ragione dei rischi connessi alla pandemia determinata dalla diffusione del coronavirus il governo è intervenuto col d.l. n. 29 del 2020 introducendo l'obbligo di procedere alla rivalutazione periodica dei predetti provvedimenti.
Come detto il d.l. n. 29 è stato abrogato dalla legge n. 70 del 2020 con la quale è stato convertito il d.l. n. 28 del 2020, mentre la disciplina del procedimento di rivalutazione periodica è stata trasfusa, con qualche importante modificazione, nell'art. 2-bis della legge n. 70.
Sotto il profilo soggettivo la rivalutazione riguarda i provvedimenti di concessione del differimento o della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento adottati nei confronti:
- delle persone sottoposte al regime differenziato di cui all'art. 41-bis ord. penit.,
- delle persone condannate o internate, per i seguenti delitti:
a) reati previsti dagli artt. 270 e 270-bisc.p.;
b) reati associativi di cui agli artt. 416-bis c.p. e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e s.m.i.;
c) reati commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p. ovvero commessi al fine di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa;
d) reati commessi con finalità di terrorismo ai sensi dell'art. 270-sexiesc.p.
Sotto il profilo oggettivo occorre che tali benefici siano stati concessi “motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19”.
Si tratta di una espressione assai generica con la quale il legislatore ha inteso fare riferimento ai casi nei quali i benefici de quibus sono stati concessi a detenuti che presentavano patologie non incompatibili con l'esecuzione della pena in regime carcerario, ma che potrebbero esporre i detenuti stessi a gravi conseguenze in caso di contagio da coronavirus (si pensi, per esempio, alle patologie a carico dell'apparato respiratorio). D'altra parte in molti casi i provvedimenti di concessione del differimento o della detenzione domiciliare sono stati emessi considerando il pericolo di contagio da coronavirus in termini astratti, vale a dire senza che fosse stato preventivamente accertato che nell'Istituto di Pena ove si trovava ristretto il detenuto risultasse la presenza di soggetti affetti da tale malattia.
In presenza di tali condizioni (beneficio concesso per motivi legati all'emergenza sanitaria a condannati o internati per i delitti sopra indicati ovvero sottoposti al regime differenziato) il Giudice di sorveglianza, monocratico o collegiale, che ha adottato il provvedimento “valuta la permanenza dei motivi legati all'emergenza sanitaria entro il termine di quindici giorni dall'adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile”.
In caso di cumulo materiale o giuridico comprendente una o più pene inflitte per uno dei delitti sopra indicati è dubbio se il Giudice sia tenuto a procedere alla rivalutazione anche nell'ipotesi in cui il condannato abbia interamente espiato la quota di pena imputabile ai predetti delitti. Sembra preferibile la soluzione positiva: la pericolosità sociale (della quale la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata costituisce il profilo qualificante) del condannato può infatti permanere anche a prescindere dal dato, meramente formale, dell'avvenuta espiazione della quota di pena imputabile ai delitti de quibus. Nel caso di specie, inoltre, la norma fa testuale riferimento ai soggetti condannati per uno dei ricordati delitti.
Prima di provvedere in ordine alla rivalutazione, il Giudice di sorveglianza deve:
a) acquisire il parere del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, se trattasi di detenuto sottoposto al regime differenziato di cui all'art. 41-bisord. penit.;
b) sentire l'Autorità sanitaria regionale (regione che pare debba individuarsi in quella ove era precedentemente detenuto il condannato), in persona del Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale.;
c) acquisire dal Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria “informazioni in ordine all'eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta” nei quali il condannato, già ammesso alla detenzione domiciliare o al differimento di esecuzione della pena, può riprendere l'espiazione della pena, o l'internamento, “senza pregiudizio le sue condizioni di salute”.
In forza della norma transitoria di cui al comma 5 dell'art. 2-bis della legge n. 70 del 2020 queste disposizioni si applicano ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di concessione del differimento della pena, adottati successivamente al 23 febbraio 2020.
Riguardo alla nuova normativa occorre osservare:
a) che i delitti per i quali l'art. 2-bis prevede la rivalutazione non coincidono con i delitti per i quali l'art 2 del d.l. n. 28 del 2020 (e l'art. 2 della legge di conversione n. 70 del 2020) prevede l'acquisizione da parte del Giudice di sorveglianza del parere Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ai fini della decisione sull'istanza di applicazione della domiciliare sostitutiva del differimento.
Come detto il parere deve essere richiesto quando la domanda volta ad ottenere detto beneficio (solo la detenzione domiciliare e non anche il differimento) è stata presentata da detenuti per taluno dei delitti indicati nell'art. 51, commi 3-bis e3-ter c.p.p. (oltre che da detenuti sottoposti al regime di cui all'art. 41-bisord. penit., categoria richiamata anche dall'art. 2-bis della legge n. 70 del 2020).
b) per quanto riguarda la competenza a procedere alla rivalutazione occorre distinguere in funzione del Giudice che ha adottato il provvedimento di concessione del beneficio.
Al riguardo occorre tener presente che, di norma, la richiesta di concessione della detenzione domiciliare o del differimento, viene presentata al Magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sull'Istituto di Pena nel quale il condannato si trova ristretto: l'art. 47-ter comma 1-quaterord. penit. attribuisce infatti al Magistrato il potere di disporre l'applicazione provvisoria del beneficio. Una volta pronunciatosi sull'istanza, quindi anche nel caso in cui sia stata adottata una decisione di rigetto, il Giudice deve trasmettere gli atti al Tribunale al quale spetta la competenza ad adottare la decisione definitiva in merito alla concessione o al diniego del beneficio.
D'altra parte può anche accadere che il detenuto abbia rivolto la domanda direttamente al Tribunale, senza aver preventivamente richiesto al Magistrato di sorveglianza l'applicazione provvisoria.
Tanto premesso si possono presentare le seguenti ipotesi:
b1) il Tribunale ha già adottato il provvedimento di applicazione della detenzione domiciliare o del differimento: in questo caso la rivalutazione deve essere effettuata dallo stesso Tribunale che ha emesso il provvedimento, e non dal Tribunale di sorveglianza da individuarsi in base al luogo in cui il condannato è stato ammesso ad espiare la pena in regime di detenzione domiciliare ovvero, in caso di differimento, in base al luogo in cui il condannato ha la residenza o il domicilio. Il Tribunale, acquisito il parere e le informazioni indicate dall'art. 2-bis commi 1 e 2 della legge n. 70 del 2020 decide, all'esito del procedimento in contraddittorio, con ordinanza impugnabile con ricorso per Cassazione (sul punto vedi infra);
b2) il Magistrato di sorveglianza in accoglimento dell'istanza del detenuto ha disposto l'applicazione provvisoria del beneficio ed il Tribunale, al quale, come detto, devono essere trasmessi gli atti, non si è ancora pronunciato in via definitiva: in questo caso la rivalutazione deve essere effettuata dallo stesso Magistrato che ha adottato il provvedimento.
Il Magistrato, acquisite le informazioni previste dalle norme sopra richiamate, decide con decreto non impugnabile che, unitamente ai pareri ed alle informazioni acquisite, deve essere trasmesso al Tribunale: gli atti del procedimento monocratico confluiranno pertanto nel fascicolo del procedimento che si è instaurato davanti al Tribunale (art. 2-bis, comma 4 della legge n. 70 del 2020).
Nel caso in cui il Magistrato di sorveglianza decida di revocare il differimento o la detenzione domiciliare concessi in via provvisoria (decisione che comporta il nuovo ingresso in carcere del condannato), il Tribunale deve pronunciarsi sulla applicazione dei benefici nel termine di trenta giorni dalla ricezione del provvedimento di revoca, trattasi di un termine perentorio nel senso che il mancato rispetto comporta l'inefficacia del provvedimento (art. 2-bis, comma 4 della legge n. 70 del 2020 che sul punto ha modificato la disciplina introdotta dal d.l. n. 29 del 2020) e la conseguente liberazione del condannato.
Il legislatore ha così richiamato la disciplina prevista dall'art. 51-terord. penit. in materia di sospensione (provvedimento di competenza del Magistrato di sorveglianza) e revoca (decisione di competenza del Tribunale) delle misure alternative alla detenzione, anche se nel caso di specie, non sembra configurabile un caso di revoca vera e propria (sul punto vedi infra).
Occorre infine tener presente che per i provvedimenti di revoca adottati dal Magistrato di sorveglianza alla data di entrata in vigore della legge n. 70 del 2020 (26 giugno 2020) il termine di trenta giorni decorre dalla data di entrata in vigore della medesima legge (art. 2-bis, comma 5 della legge n. 70 del 2020).
Tanto il Giudice monocratico quanto quello collegiale devono procedere alla prima rivalutazione nel termine di quindici giorni dall'adozione del provvedimento e, successivamente con cadenza mensile.
La nuova normativa introduce pertanto una deroga alla disciplina dettata in via generale dall'art. 47-ter, comma 1-terord. penit. in forza del quale il Tribunale nel provvedimento di applicazione della detenzione domiciliare sostitutiva del differimento deve indicare il termine di durata del beneficio.
Il termine di quindici giorni previsto per la prima rivalutazione appare assai problematico da rispettare nel caso i benefici de quibus siano stati concessi direttamente dal Tribunale ove si ritenga che la decisione debba essere adottata dopo la preventiva instaurazione del contraddittorio con la conseguente necessità di assicurare la notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza al condannato ed al suo difensore almeno dieci giorni prima della data dell'udienza. Ed invero sembra difficile prescindere dal ricorso al procedimento in contraddittorio se si tiene conto del fatto che la rivalutazione può sfociare nella revoca del beneficio con conseguente reingresso in carcere del condannato e ciò si verificherebbe senza che quest'ultimo sia stato messo in condizione di interloquire su una decisione destinata ad incidere su beni giuridici di fondamentale rilievo quali la libertà personale ed il diritto alla salute. La diversa soluzione risulterebbe pertanto oggettivamente incompatibile con l'art. 24 della Costituzione.
Deve viceversa ritenersi che il Magistrato sia legittimato a procedere alla rivalutazione de plano: il provvedimento emesso dal Giudice monocratico presenta infatti carattere interlocutorio e provvisorio in quanto è sempre destinato ad essere riesaminato dal Tribunale (come detto nel termine di trenta giorni nel caso in cui il giudice monocratico abbia disposto la revoca) al quale spetta la competenza ad adottare la decisione definitiva che, come detto, deve essere emessa all'esito del procedimento in contraddittorio.
In ogni caso gli stringenti termini entro i quali deve essere effettuata la rivalutazione rendono problematici eventuali approfondimenti istruttori come l'esperimento di una perizia sulle condizioni di salute del carcere di (cfr. sul punto G. PISTELLI, op.cit.). Occorre infatti rammentare che ai fini della valutazione delle condizioni di salute del condannato il giudice deve utilizzare in primo luogo la documentazione medica trasmessa dal Servizio sanitario penitenziario. Se tale documentazione attesta l'incompatibilità delle condizioni di salute del condannato con il regime carcerario, il giudice deve, in linea di principio, accogliere l'istanza di differimento (o di detenzione domiciliare), mentre se non ritenga di provvedere in tal senso ha l'obbligo di disporre una perizia (Cass. 29 novembre 2016, n. 54448, Morelli, in C.E.D. Cass. n. 269200; Cass. Sez. I 26 settembre 2019, n. 47868, Paiano, n.m.; Cass Sez.I, 16 maggio 209, n. 39798, Dimarco, in C.E.D. Cass. n. 276948 così massimata: “il giudice che, in presenza di dati o documentazioni clinica attestanti l'incompatibilità tra le condizioni di salute del condannato col regime carcerario, ritenga di non accogliere l'istanza di differimento dell'esecuzione della pena o della detenzione domiciliare per motivi di salute, deve basarsi su dati tecnici concreti disponendo gli accertamenti medici necessari e, all'occorrenza, nominando un perito”).
La rivalutazione del provvedimento di concessione del differimento o della detenzione domiciliare è finalizzata a verificare “se permangono i motivi che hanno giustificato l'adozione del provvedimento di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena, nonché la disponibilità di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei ad evitare il pregiudizio per la salute del detenuto o dell'internato” (art. 2-bis, comma 3 delle legge n. 70 del 2020) e può sfociare nella proroga del beneficio (in tal caso si dovrà procedere ad una nuova rivalutazione nei termini indicati dall'art. 2-bis, comma 1) oppure alla revoca dello stesso.
In questo secondo caso il condannato sarà nuovamente tradotto in un Istituto di Pena (l'art. 2-bis, comma 3 definisce il provvedimento di revoca “immediatamente esecutivo”).
Occorre tuttavia precisare che nel caso di specie sembra configurabile un ipotesi di “revoca incolpevole” in quanto non determinata da condotte censurabili poste in essere dal condannato (violazione delle prescrizioni o commissione di ulteriori reati), ma dal venir meno delle condizioni di fatto che avevano determinato la concessione del differimento o della detenzione domiciliare (come detto, nella prassi di molti Tribunali di sorveglianza la “revoca incolpevole” viene qualificata come cessazione proprio al fine di tenere distinte, anche sul piano lessicale, le due ipotesi).
Occorre infine segnalare che nulla vieta che i pareri e le informazioni previste dall'art. 2-bis della legge n. 70 del 2020 possano essere acquisite dal giudice, monocratico o collegiale, chiamato a pronunciarsi per la prima volta sulla richiesta di applicazione provvisoria del beneficio. D'altra parte costituisce ius receptum la regola secondo la quale il Giudice di sorveglianza chiamato a decidere sulla concessione del differimento di esecuzione della pena o della detenzione domiciliare per motivi di salute, deve sempre verificare se le patologie di cui soffre il condannato sono adeguatamente curabili mediante le terapie e i trattamenti attuabili intra moenia, ovvero mediante il trasferimento del detenuto in un centro clinico dell'Amministrazione penitenziaria o, infine, in un luogo di cura esterno ex art. 11 ord. penit.