Ai fini delle sopravvenienze attive derivanti da riconoscimento giudiziale, rileva l’anno di deposito della sentenza, a meno che non sia sospesa l’efficacia del titolo

Antonio Scalera
16 Giugno 2025

Una società in accomandita semplice impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Lecce l'avviso di accertamento, con il quale l'Amministrazione, sul rilievo di una condotta di dichiarazione infedele relativa all'anno di imposta 2009 commessa dalla società partecipata, le aveva irrogato la sanzione amministrativa di € 258,00. A sostegno dell'impugnazione la società contribuente dedusse l'illegittimità, sotto diversi profili, della rettifica del reddito operata nei confronti della partecipata. Il reddito della società-madre, in particolare, era stato rettificato in seguito al rilievo dell'omessa dichiarazione di sopravvenienze attive per gli anni d'imposta 2007 e 2009, costituite da somme che essa aveva in un primo tempo corrisposto a un istituto di credito in forza di un rapporto di conto corrente, e delle quali era stata successivamente ordinata in giudizio la restituzione in quanto concernenti debiti per interessi a tasso anatocistico. La restituzione era stata, dapprima, disposta dal Tribunale di Lecce con sentenza dell'11 ottobre 2006, in esito alla quale, fra il 2006 e il 2007, la banca debitrice aveva versato una parte delle somme oggetto di condanna. La società partecipata, tuttavia, non aveva dichiarato gli importi percepiti nel 2007, ricevendo così la notifica di un primo avviso di accertamento che aveva definito in adesione. La decisione del Tribunale era, poi, stata confermata dalla Corte d'Appello di Lecce, in esito alla quale la società-madre aveva notificato alla banca un atto di precetto per il recupero del residuo credito, pari ad € 417.794,98; di qui la pretesa creditoria a monte della presente vicenda.

Massima 

In tema di imposte sui redditi, le sopravvenienze attive che derivano dal riconoscimento di un credito – o dal disconoscimento di un debito preesistente – in sede giudiziale devono essere dichiarate nell'anno di imposta in cui la sentenza che afferma il credito o disconosce il debito è stata depositata, che costituisce il momento nel quale la posta attiva diviene certa nella sua esistenza e obiettivamente determinabile, ai sensi dell'art. 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, semprechè l'efficacia esecutiva della sentenza di condanna non sia stata nel frattempo sospesa

Il caso 

Nel caso in esame la C.T.P. adìta accolse il ricorso. Il successivo appello erariale è stato respinto con la pronunzia indicata in epigrafe.

Detta pronunzia ha richiamato integralmente la sentenza d'appello resa, in pari data, nel giudizio fra l'Amministrazione finanziaria e la società-madre, favorevole a quest'ultima.

L'Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza d'appello con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

In particolare, con il secondo motivo è dedotta violazione degli artt. 109 del d.P.R. 31 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”), e 2697 cod. civ.

La critica ha ad oggetto la sentenza d'appello resa nei confronti della società-madre, nella parte in cui ha giustificato la mancata imputazione della componente positiva al reddito per l'anno 2009, ritenendola di pertinenza dell'anno d'imposta successivo.

Quella sentenza, in particolare, aveva rilevato che la restituzione delle somme in favore della società era stata disposta dalla Corte d'Appello di Lecce con decisione divenuta definitiva nel 2010; a tale annualità, pertanto, doveva farsi riferimento per individuare il momento di «utilizzazione del bene» che, per condivisa interpretazione, determina il periodo d'imposta nel quale imputare a reddito le sopravvenienze.

Secondo la ricorrente, invece, occorreva fare riferimento all'anno precedente, nel quale la sentenza era stata depositata, perché in tale momento l'importo oggetto di sopravvenienza era divenuto certo nella sua esistenza e nel suo esatto ammontare; tant'è che la contribuente – ricevuti acconti sul suo credito nell'anno 2007, dopo la sentenza di primo grado – aveva subìto un recupero a tassazione per la sopravvenienza attiva non dichiarata, che aveva definito in adesione con il versamento del dovuto.

La questione

La questione che la Suprema Corte è chiamata ad affrontare è se, nelle ipotesi in cui la sopravvenienza attiva discende dal riconoscimento giudiziale di un credito (o dal disconoscimento di un debito preesistente, come nella specie), si debba avere riguardo al momento del deposito del provvedimento ovvero se si debba considerare il momento in cui la sentenza diviene definitiva

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, dopo aver ricostruito la cornice fattuale della pretesa impositiva, giunge alla conclusione che, nelle ipotesi in cui la sopravvenienza attiva discende dal riconoscimento giudiziale di un credito (o dal disconoscimento di un debito preesistente, come nella specie), occorre aver riguardo al momento del deposito del provvedimento.

È, infatti, con il deposito che la posta attiva (o il venir meno della posta passiva) assume una connotazione che corrisponde al canone di «certezza nell'esistenza ed obiettiva determinabilità» stabilito dall'art. 109, comma 1, del TUIR ai fini dell'imputabilità a reddito di una componente positiva: la venuta ad esistenza del credito si determina per effetto del formarsi del titolo giudiziale, che contiene anche la sua liquidazione.

I precedenti giurisprudenziali

La giurisprudenza di legittimità afferma, con orientamento consolidato, che una sopravvenienza attiva dev'essere assoggettata ad imposizione con riferimento all'esercizio in cui la posta attiva acquista certezza.

In linea con tale impostazione è stato poi chiarito che, laddove la sopravvenienza consista nel venir meno di un costo già contabilmente rappresentato, rileva il momento in cui si è acquisita la giuridica certezza dell'inesistenza della posta passiva, vale a dire quello in cui «si è verificato il fatto di gestione che ha prodotto il venir meno» della stessa (così Cass. n. 20608/2023).

In articolare, si è affermato che “in tema di sopravvenienze attive, di cui all'art. 88 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, l'iscrizione di un debito tra le passività nell'esercizio di competenza, secondo le regole dettate dall'art. 109, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, qualora risulti non ancora assolto in un successivo esercizio, per emergere, ad esempio, da uno dei registri tenuti ai sensi dell'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non comporta l'automatico riconoscimento ed imputazione di una sopravvenienza attiva, per la quale è invece necessario il sopraggiungere di un evento, in un esercizio successivo a quello di imputazione della passività, che, estinguendo con certezza il costo o il debito registrato nell'esercizio precedente, configuri una posta attiva sopravvenuta.

Ne discende anche che l'iscrizione in bilancio di una posta passiva, per errore o perché fittizia, non comporta l'iscrizione di una sopravvenienza attiva nell'esercizio in cui l'errore sia corretto o la fittizietà sia dichiarata o accertata, dovendosi al contrario imputare la rettifica sempre all'esercizio in cui l'iscrizione della componente negativa sia avvenuta per errore o per falsità” (Cass. n. 3901/2023).

Si è, inoltre, osservato che l'art. 88, comma 1, d.P.R. n. 917 del 1986 stabilisce che: «Si considerano sopravvenienze attive i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nonché la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi».

In ragione di tale disposto va qualificata come sopravvenienza attiva da iscrivere in bilancio anche la sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in precedenti esercizi, ovvero esistenti al momento della loro iscrizione e poi venute meno per fatti sopravvenuti. La sopravvenienza, pertanto, si realizza quando viene meno una passività effettivamente esistente (Cass. n. 34710/2019; Cass. n. 19219/2017).

La sopravvenuta insussistenza di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, che costituisce sopravvenienza attiva, ai sensi della succitata norma si realizza in tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, una posizione debitoria, già annotata come tale, debba ritenersi cessata, ed assuma quindi in bilancio una connotazione attiva con il conseguente assoggettamento ad imposizione, in riferimento all'esercizio in cui tale posta attiva emerge in bilancio ed acquista certezza (Cass. n. 1508/2020).

A ciò deve aggiungersi che la regola di imputazione temporale della sopravvenienza attiva va individuata nell'art. 109, comma 1, d.P.R. n. 917 del 1986, che sovraintende alla determinazione del reddito d'impresa, il quale stabilisce che i componenti positivi concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza.

Seppur al diverso fine di statuire con riguardo ai presupposti di operatività del meccanismo della compensazione giudiziale, le Sezioni Unite (Cass. Sez.U, n. 23225/2016) hanno affermato che il requisito della certezza di un credito comporta che il relativo accertamento da parte del giudice sia divenuto definitivo.

In proposito, occorre tuttavia rilevare che il requisito della certezza sull'esistenza delle componenti di reddito, di cui al citato art. 109, comma 1, del TUIR, dev'essere verificato sulla base di criteri essenzialmente economici; in particolare, la relazione illustrativa a detta ultima norma (già art. 75 TUIR) affermava che «la ragionevole certezza circa i ricavi e i costi si verifica nel momento in cui le tecniche aziendali ritengono definitivamente formata la componente di reddito, affidando al meccanismo delle sopravvenienze attive e passive le successive, pur sempre possibili, correzioni di importo».

In coerenza con tale impostazione, non pare allora che debba attribuirsi efficacia incisiva alla circostanza del passaggio in giudicato della sentenza (né, in senso contrario, al fatto che l'eventuale prosieguo del contenzioso possa condurre a un diverso risultato), poiché un'eventuale modifica della decisione nei successivi gradi di giudizio realizzerebbe una sopravvenienza passiva, idonea anch'essa a concorrere alla formazione del reddito ai sensi dell'articolo 101 del TUIR

Le conclusioni

In conclusione, ai fini dell'imputazione a reddito della sopravvenienza attiva, occorre avere riguardo anche al fatto che non sussistano ostacoli al suo concreto conseguimento da parte del contribuente.

Ciò significa che, in ipotesi caratterizzate dalla venuta ad esistenza della posta attiva quale conseguenza di una sentenza, è sufficiente che sia intervenuta la decisione, occorrendo tuttavia, al contempo, che l'efficacia esecutiva della stessa non sia stata sospesa, sì da consentire, quantomeno in via potenziale, l'effettivo conseguimento della posta nel reddito del contribuente.

Può, dunque, essere formulato il seguente principio di diritto: «In tema di imposte sui redditi, le sopravvenienze attive che derivano dal riconoscimento di un credito – o dal disconoscimento di un debito preesistente – in sede giudiziale devono essere dichiarate nell'anno di imposta in cui la sentenza che afferma il credito o disconosce il debito è stata depositata, che costituisce il momento nel quale la posta attiva diviene certa nella sua esistenza e obiettivamente determinabile, ai sensi dell'art. 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e semprechè l'efficacia esecutiva della sentenza di condanna non sia stata nel frattempo sospesa».

Osservazioni

La soluzione adottata dalla Suprema Corte è chiara nell’agganciare al momento di deposito della sentenza il momento nel quale la sopravvenienza attiva assume rilevanza ai fini fiscali.

Ciò, tuttavia, a condizione che l’esecuzione della sentenza di condanna non sia stata nel frattempo sospesa.

In tal modo si contempera l’esigenza di certezza del criterio di imputazione della sopravvenienza con quello di tutela della situazione giuridica del contribuente, che verrebbe ad essere pregiudicata nell’ipotesi in cui si dovesse deve tener conto, ai fini fiscali, di una sopravvenienza attiva solo “virtuale”, in caso di sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo.

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