Si al credito d'imposta R&S anche se l'attività a base del beneficio ha «copiato» altri contributi scientifici

20 Giugno 2025

La controversia giunta all’esame dei giudici tributari concerneva un atto di recupero emesso dall’Agenzia delle Entrate a carico di una società in conseguenza dell’asserito indebito utilizzo di crediti di imposta inesistenti, per gli anni dal 2015 al 2017, i quali originavano dalla fruizione delle agevolazioni per ricerca e sviluppo.

Massima

Nell’ambito di progetti avviati in determinati settori per sviluppare innovazioni digitali, il carattere di novità richiesto dalla norma agevolativa non risiede necessariamente nei contenuti trattati (anche laddove attinti da fonti già esistenti), ma anche nelle innovative modalità di estrapolazione, collegamento e riorganizzazione di quei contenuti secondo una metodologia tesa verso un obiettivo e un risultato del tutto nuovo e originale. 

Così si è pronunciata la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia con la sentenza n. 883 del 4 aprile 2025.

Il caso

La società, operante nel settore dei servizi per la trasformazione e l’innovazione digitale, aveva svolto un progetto di ricerca i cui esiti erano stati compendiati in un apposito report attraverso una ricognizione delle fonti esistenti di diversa natura (accademiche e non), temi all’epoca dei fatti di frontiera quali Big Data e cloud computing. L’Ufficio aveva ritenuto che l’attività a base del beneficio fiscale non avesse il requisito della novità trattandosi di mera copiatura di contributi scientifici già esistenti.

Sul punto – e con particolare riferimento ad un progetto per lo sviluppo di un software – l’Agenzia ricordava che, per potere esso essere classificato R&S, la sua esecuzione deve dipendere da un progresso scientifico e/o tecnologico su base sistematica che deve presentare il requisito imprescindibile della “novità”. In sostanza, il contribuente non solo deve provare documentalmente la effettività, inerenza, pertinenza e congruità dei costi, ma la novità dell’obiettivo raggiunto. Il disconoscimento operato non atteneva, quindi, al merito scientifico dell’incremento operato nel settore informatico, ma scaturiva dal mero riscontro documentale, il quale evidenziava una sostanziale identità tra documentazione che attestava inequivocabilmente la mancanza di ricerca, di uno studio, di analisi, di incremento. Replicava la società che, a conforto del proprio diritto di credito in virtù del carattere innovativo dell’attività svolta, evidenziava come quest’ultima fosse tesa a fornire servizi di ricerca e consulenza al fine di agevolare le aziende nel percorso di trasformazione e innovazione digitale.

Per confermare l’effettività e il carattere innovativo dell’attività svolta, la contribuente produceva la relazione di un docente di Organizzazione Aziendale presso una delle università milanesi.

I giudici di primo grado confermavano l’operato dell’Amministrazione finanziaria ritenendo che gli elementi addotti dall’Ufficio confermassero l’assenza di novità: la società, secondo i primi giudici, si era limitata a rilevare come l’attività di ricerca sia per sua natura incrementale e, quindi, sia normale il ricorso a fonti già esistenti, così come sia normale descrivere e analizzare l’attività  svolta, ma senza superare il dato concreto del contenuto già esistente e del livello scientifico tecnico già acquisito sul mercato di riferimento.

La soluzione giuridica

L’esplicitazione del concetto di novità

I giudici di secondo grado hanno ribaltato l’esito della controversia a favore della parte privata ricordando, da un lato, che il carattere innovativo dei progetti incentivati deve consistere non solo e non tanto in un miglioramento del livello tecnologico-scientifico per il soggetto che opera l’investimento, bensì nella capacità del progetto di portare al superamento di ostacoli di tipo tecnico e scientifico propri del settore, tanto da determinare un miglioramento significativo di prodotti già esistenti sul mercato in quel settore in termini obiettivi e generali; dall’altro lato, come sia  ovvio che il carattere innovativo di un progetto di investimento, che abbia come obiettivo il superamento del livello acquisito sul mercato in un certo momento con riguardo alle conoscenze e alle capacità applicative date, non può misurarsi esclusivamente sulla base dell’effettivo raggiungimento del risultato finale: ciò in quanto è dato di comune esperienza che il tentativo di superare un limite, raggiungendo un livello ancora inesplorato, implica per definizione, un elevato rischio di fallimento dell’obiettivo, senza che ciò comporti il venir meno del carattere innovativo del progetto. In sostanza, hanno precisato gli interpreti, se si finanzia un progetto che ha come obiettivo il raggiungimento di un risultato mai acquisito in un determinato settore e poi il risultato non si raggiunge, non può in ogni caso escludersi, per ciò solo, il carattere innovativo del progetto.

In conclusione

La prova offerta dal contribuente

Nel senso sopra descritto, la Corte ha ritenuto che la società avesse provato il carattere innovativo della ricerca tenuto conto delle peculiari caratteristiche del settore di riferimento: i requisiti di creatività e novità, nel caso di specie, risiedevano “nella selezione e ricombinazione degli articoli più rilevanti rispetto ad un dato argomento, nonché nell’analisi critica dei contenuti così riorganizzati”: l’intendimento era quello di cercare di creare valore originale facendo leva sulla selezione e combinazione di articoli, da fonti accademiche e non, così da mettere il fruitore in una posizione privilegiata per sviluppare innovazioni digitali di diversa natura. In definitiva, ha concluso la Corte, la novità non risiedeva nei contenuti trattati (effettivamente attinti da fonti già esistenti), ma nelle innovative modalità di estrapolazione, collegamento, riorganizzazione di quei contenuti, secondo una metodologia tesa verso un obiettivo e un risultato del tutto nuovo e originale.

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