Assegno di invalidità da integrare al minimo anche se liquidato interamente con il sistema contributivo
07 Luglio 2025
La decisione accoglie una delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di Cassazione in relazione agli articoli 3 e 38, secondo comma, della Costituzione. Secondo la Corte, il divieto introdotto dalla cosiddetta “Riforma Dini” - che regolava il graduale passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo - non dovrebbe applicarsi all'assegno ordinario di invalidità, spettante ai lavoratori che, a causa di infermità o difetti fisici o mentali, vedono diminuita a meno di un terzo la sua capacità di prestare un'attività lavorativa confacente alle proprie attitudini. Sin dalla sua introduzione ad opera della legge n. 222/1984, sotto il regime di computo retributivo, l'assegno in questione è stato sempre oggetto di una disciplina peculiare e più benevola, in quanto «volta a fronteggiare uno stato di bisogno meritevole di particolare tutela». Da sempre, infatti, il modello di integrazione al minimo per l'assegno di invalidità non corrispondeva automaticamente al trattamento minimo INPS, ma consisteva nell'aggiunta di un importo specifico - prima equivalente alla pensione sociale, poi sostituito dall'assegno sociale - finanziato interamente dal fondo sociale e oggi dal GIAS (Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali). La Corte sottolinea che l'eliminazione dell'integrazione al minimo per l'assegno ordinario di invalidità liquidato con il sistema contributivo non è tale da realizzare il principale obiettivo della riforma del 1995, ossia la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale, dato che la tutela aggiuntiva dell'integrazione al minimo era già finanziata tramite la fiscalità generale, come le prestazioni del sistema assistenziale. Un'ulteriore particolarità dell'assegno ordinario di invalidità è rappresentata dal fatto che tale trattamento può essere necessario per il lavoratore anche molto prima dell'età prevista per l'assegno sociale, oggi riservato agli over 67. In caso di importo basso e in assenza di altri sostegni (come l'assegno di invalidità civile, l'assegno unico universale, l'assegno di inclusione o la possibilità di trovare altro lavoro), il lavoratore rischia di restare senza alcun sostegno economico per lungo tempo. Infine, la Corte evidenzia che« l'assegno in esame si sottrae al giudizio di disvalore espresso dall'ordinamento nei confronti della fuoriuscita anticipata dal mercato del lavoro di soggetti che, pur ancora in possesso di capacità lavorativa, non abbiano tuttavia accumulato una provvista finanziaria idonea a garantire loro, in vecchiaia, un adeguato trattamento pensionistico»: l'assegno, infatti, è destinato a sopperire situazioni in cui il lavoratore, per via dell'invalidità, ha perso una parte significativa della sua capacità lavorativa e quindi la possibilità di maturare contributi sufficienti. Per questi motivi, la scelta del legislatore di assimilare l'assegno ordinario di invalidità agli altri trattamenti pensionistici contributivi, per assoggettarlo alla previsione di inapplicabilità delle disposizioni sull'integrazione al minimo, è stata ritenuta in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, con assorbimento anche delle censure relative all'art. 38, secondo comma, della Costituzione. Considerando che una dichiarazione di illegittimità avrebbe comportato, in ragione dell'effetto ex tunc, un notevole aggravio per la finanza pubblica, soprattutto per il recupero degli arretrati, la Corte ha stabilito che gli effetti della decisione decorreranno dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale. Fonte: (Diritto e Giustizia) |