Demansionamento dell’infermiere e risarcimento per danno all’immagine ed alla dignità professionale
04 Luglio 2025
Massima Nel pubblico impiego privatizzato il lavoratore, venendo in rilievo il suo dovere di leale collaborazione nella tutela dell'interesse pubblico sotteso all'esercizio dell'attività, può essere adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle di assegnazione, ma ciò a condizione che tali mansioni non siano completamente estranee alla sua professionalità, che ricorra una obiettiva esigenza, organizzativa o di sicurezza, del datore di lavoro e che inoltre la richiesta di tali mansioni inferiori avvenga in via marginale rispetto alle attività qualificanti dell'inquadramento professionale del prestatore o che, quando tale marginalità non ricorra, fermo lo svolgimento prevalente delle menzionate attività qualificanti, lo svolgimento di mansioni inferiori sia meramente occasionale. Il caso Un infermiere impiegato presso una Azienda Sanitaria Locale, seppur svolgendo in prevalenza le attività proprie della qualifica, veniva costantemente e sistematicamente adibito ad attività proprie degli operatori sociosanitari (O.S.S.), e, per tale ragione, incardinava un contenzioso contro il datore di lavoro. La Corte di Appello, in riforma della sentenza del Tribunale, riteneva tale condotta illegittima riconoscendo al lavoratore un risarcimento del danno alla dignità professionale ed all’immagine lavorativa liquidato in via equitativa in misura pari al 6% della retribuzione del periodo oggetto di causa. L’Azienda Sanitaria Locale non accettava il verdetto della Corte di Appello e, avverso la sentenza sfavorevole, interponeva ricorso per cassazione che si concludeva con l’ordinanza in commento. La questione Ci si chiede se è legittimo, seppur adibendo l’infermiere prevalentemente all'attività che gli compete, destinarlo anche a prestazioni che sarebbero proprie degli O.S.S., quali il trasporto dei malati, il riordino dei letti, il rispondere ai campanelli, la cura delle incombenze igieniche dei pazienti, e ciò in via affatto marginale e sporadica, né di breve periodo, ma, anzi, in maniera costante e sistematica, svolta quotidianamente e per buona parte della giornata lavorativa. Le soluzioni giuridiche Nel rapporto di impiego pubblico contrattualizzato, lo ius variandi del datore di lavoro viene compiutamente disciplinato dall'art. 52 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 che riconosce il principio di coerenza tra inquadramento e mansioni. Il prestatore di lavoro, infatti, deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento. Nel caso che occupa, il lavoratore appartiene alla figura professionale dell'infermiere, inteso come l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'albo professionale, è responsabile dell'assistenza generale infermieristica (cfr. art. 1, d.m. 14 settembre 1994, n. 739). Nell'ambito del pubblico impiego contrattualizzato, la richiesta agli infermieri di attività proprie degli O.S.S. non risulta a priori illegittima, in quanto essa trova fondamento nei doveri di flessibilità del lavoratore rispetto all'utilità della controparte, oltre che di leale collaborazione nella tutela dell'interesse pubblico sotteso all'esercizio della sua attività (Cass. 17 settembre 2020, n. 19419) Tale principio vale però solo a determinate condizioni che verranno di seguito riassunte. In primo luogo, deve trattarsi di attività che non esprima contenuti professionali del tutto estranei rispetto ai compiti propri dell'infermiere. Ad esempio, la cura della persona è tratto comune sia alla professione dell'infermiere che dell'O.S.S. (Cass. 19419/2020 cit.). La richiesta deve poi rispondere ad un'esigenza organizzativa, operativa o di sicurezza concreta e non dunque a scelte estemporanee o a pretese di lavoro di livello inferiore pur in presenza di disponibilità del personale della categoria pertinente (ancora Cass. 19419/2020). Ulteriori requisiti individuati dalla giurisprudenza di legittimità sono che le mansioni inferiori siano richieste "incidentalmente o marginalmente" (Cass. 7 agosto 2006, n. 17774; Cass. 21 luglio 2022, n. 22901), dal che si è escluso che sia legittima la loro pretesa "non in via occasionale, ma in maniera programmata" (Cass. 8910/2019, cit.). Vi deve quindi essere destinazione alle mansioni di appartenenza in modo "prevalente e assorbente" (Cass. 19419/2020; Cass. 17774/2006). Da ciò discende che le mansioni inferiori sono sempre legittime se "marginali" , ovverosia di scarso e limitato rilievo quantitativo rispetto alle mansioni di effettiva pertinenza. Quando tale marginalità non ricorra e dunque la consistenza delle attività di livello inferiore sia più ampia deve riscontrarsi il carattere occasionale della richiesta di mansioni inferiori, oltre ovviamente alla prevalenza delle mansioni qualificanti l'inquadramento rispetto a quelle inferiori. Il ricorso sistematico e non marginale alle mansioni inferiori viola in sé il diritto del lavoratore al rispetto della propria professionalità e ciò anche se sia onorato il parametro di prevalenza nello svolgimento delle attività proprie dell'inquadramento. Osservazioni A fronte dell'illegittimo demansionamento, il dipendente pubblico beneficia degli stessi strumenti di tutela predisposti per i lavoratori del settore privato; pertanto, si può usufruire di rimedi sia di tipo risarcitorio che di stampo ripristinatorio. Secondo l'art. 63, d.lgs. n. 165/2001, il giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, può adottare, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati, con la capacità di produrre anche effetti costitutivi o estintivi del rapporto di lavoro. Sul risarcimento del danno non patrimoniale (ad esempio, il danno alla professionalità che è componente non patrimoniale della posizione personale e lavorativa del dipendente come, d'altronde, il pregiudizio all'immagine - Cass. 8 marzo 2006, n. 4975; Cass. 26 maggio 2004, n. 10157), secondo il comune sentire dei Giudici di legittimità, ove sia stata accertata la dequalificazione professionale, il giudice di merito può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone l'entità anche in via equitativa, con ragionamento presuntivo, in base agli elementi fattuali relativi alla qualità e quantità della precedente esperienza lavorativa, alla natura della professionalità coinvolta e ad altre circostanze del caso concreto (lunga durata dello svolgimento di mansioni inferiori; natura prettamente manuale delle attività inferiori fatte svolgere, svolgimento alla presenza di tutti i pazienti). Tuttavia, deve essere evitata ogni duplicazione di voci di danno che abbiano la stessa fonte causale (Cass. sez. un. 22 febbraio 2010, n. 4063). Riferimenti S. Merlo, Svuotamento della prestazione lavorativa ed equivalenza delle mansioni: il diritto al ripristino dell'incarico per il dirigente pubblico “demansionato, in Diritto delle Relazioni Industriali, fasc. 3, 2017, pag. 826 |