Risponde del reato di diffusione di registrazioni fraudolente chi pubblica su WhatsApp immagini intime della persona offesa
10 Luglio 2025
Massima Ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 617-septies c.p., è richiesta la prova, ritraibile da ogni elemento utile, della sussistenza in capo all'agente del dolo specifico, costituito dal fine di arrecare danno all'altrui reputazione o immagine. Il caso Tizio è stato accusato per aver diffuso, tramite un'applicazione di messaggistica, un video intimo registrato senza consenso il quale mostrava le fasi immediatamente successive ad un rapporto sessuale, avvenuto all'interno dell'abitacolo di un'autovettura tra lui e la persona offesa, la quale appariva in pose intime. La Corte di Appello ha dato conto delle ragioni della ritenuta captazione fraudolenta delle immagini, come reso evidente oltre che dalle modalità della ripresa, fugacemente, realizzata subito dopo un rapporto sessuale, da alcune immagini del video, in cui la persona offesa esprime la propria sorpresa e contrarietà per quell'azione imprudente, invitando l'autore a mettere da parte il telefono. Tizio ha presentato ricorso per cassazione, sostenendo che non fosse stata dimostrata la diffusione del video da parte sua e che non fosse stato provato il dolo specifico necessario per il reato. Inoltre, ha contestato la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. e l'eccessiva severità della pena. La questione È punibile per il delitto di diffusione di riprese e registrazioni fraudolente chi diffonde mediante Whatsapp un video intimo all'insaputa della persona offesa? Le soluzioni giuridiche La Corte di cassazione, con il provvedimento analizzato ha rigettato il ricorso proposto dall'imputato confermando la condanna di Tizio che risponde del reato di “diffusione di riprese e registrazioni fraudolente” per avere inviato su Whatsapp immagine private e fatte di nascosto subito dopo aver consumato un rapporto sessuale in auto. La Corte ha evidenziato che «la inviolabilità e la segretezza delle comunicazioni o conversazioni sono protette dalle ingerenze esterne o dalla arbitraria e non autorizzata diffusione extra praesentes, non soltanto perché viene in tal modo garantita la libera esplicazione e manifestazione del pensiero, ma anche per evitare che una indebita circolazione dei contenuti di conversazioni o comunicazioni private possa ledere la reputazione e l'onore del soggetto passivo». La Cassazione sottolinea che la previsione della procedibilità a querela conferma come oggetto di tutela dell'articolo 617-septies c.p. sia l'interesse del singolo al mantenimento del proprio onore e della reputazione. Mentre sul piano strutturale, la condotta sanzionata consiste nella diffusione di una captazione fraudolenta, effettuata mediante riprese audio/video o registrazioni, di conversazioni o incontri di tipo privato, alle quali l'agente abbia preso parte o sia stato presente. L'articolo 612-ter c.p., invece, si sostanzia nella divulgazione non autorizzata online di file multimediali a contenuto sessualmente esplicito, soprattutto a scopo di vendetta nei confronti dell'ex partner. Peculiarità di questo tipo di immagini e video, precisa la Suprema corte, oltre al contenuto, sessualmente esplicito - laddove per l'articolo 617-septies assume rilievo la captazione fraudolenta delle immagini/registrazioni - è che gli stessi sono girati con il consenso della persona ritratta. A essere non consensuale, dunque, nel reato di cui all'articolo 612-ter, non è la realizzazione del materiale pornografico, ma la sua successiva diffusione. Tornando al 617-ter, per la configurazione del reato, si richiede «non la mera diffusione del materiale, bensì che la diffusione avvenga al fine di recare danno all'altrui reputazione o immagine». Non sarebbe, ad esempio, sufficiente la sola diffusione di immagini carpite senza il consenso della vittima, pur supportata dal dolo generico: non è punibile, esemplificando, la condotta di chi abbia 'cliccato' sul tasto condividi. La condotta tipica del reato ex art.617-septies è costituita dalla diffusione di una captazione fraudolenta, effettuata mediante riprese audio/video o registrazioni, di conversazioni o incontri di tipo privato, alle quali l'agente abbia preso parte o sia stato presente. Sulla base di ciò risulta pacifica la riconducibilità sul piano oggettivo al delitto in commento del fatto attribuito all'imputato: la diffusione su una chat di gruppo whatsapp della ripresa audio e video di un incontro intimo svoltosi con la persona offesa effettuata in modo fraudolento dall'imputato con il proprio cellulare. Gli ermellini hanno sottolineato la necessità di dimostrare l'intento specifico di danneggiare la reputazione o l'immagine della vittima per integrare il reato di diffusione di registrazioni fraudolente; per tale ragione la motivazione del provvedimento sul tema della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato per il delitto di cui all'art. 617-septies costituisce la parte centrale della sentenza. Tizio aveva infatti contestato la mancata dimostrazione della sussistenza del dolo specifico, ritenuto incompatibile con il dolo eventuale riconosciuto dal giudice di merito. La Corte di cassazione ha chiarito che il delitto in commento postula, innanzitutto, il dolo generico rispetto agli elementi tipici della fattispecie. Tale forma di dolo è comprensiva anche del dolo eventuale, ravvisabile nell'accettazione del rischio che la messa in circolazione delle riprese o delle registrazioni fraudolentemente carpite possa determinarne la diffusione. Inoltre, per la sussistenza del delitto è necessario, quale elemento essenziale della fattispecie, un requisito ulteriore di natura psichica, consistente in uno scopo verso cui deve tendere la volontà del soggetto agente: il fine di recare danno all'altrui reputazione o immagine. Esso costituisce il dolo specifico del delitto. Trattasi di uno scopo ulteriore verso cui deve tendere la volontà del soggetto agente, senza che sia necessario, per l'esistenza della fattispecie, che tale fine sia stato effettivamente conseguito. La prova di tale ulteriore finalità può essere tratta da ogni elemento utile allo scopo, attraverso un ragionamento logico-inferenziale, secondo le regole generali in tema di valutazione dell'elemento soggettivo del reato; la sussistenza del dolo specifico può dunque essere desunta dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell'azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, sia possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne, oltre alla cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato, l'intenzione di danno specificamente richiesto dalla norma. La Corte ricorda che i giudici di merito hanno evidenziato come le modalità della condotta fossero chiaramente fraudolente, e la diffusione del video imputabile all'odierno ricorrente, mentre il fine specifico perseguito dall'agente poteva trarsi dalla stessa oggettiva materialità della condotta, ovvero dalle modalità con le quali il filmato è stato realizzato, immediatamente dopo il rapporto sessuale (ciò che rende evidente una finalità diversa da quella erotica o comunque collegata al rapporto sessuale appena consumato) e dal mezzo di diffusione del filmato, che è stato fatto circolare su una chat di amici, comuni anche alla persona offesa, elementi che appaiono direttamente esplicativi della precisa volontà di danneggiare la reputazione della vittima. È dunque riscontrabile, conclude la Corte, accanto al dolo generico (anche eventuale), l'ulteriore elemento volitivo necessario ai fini dell'integrazione del delitto sotto il profilo soggettivo, costituito dalla specifica volontà di danneggiare la vittima, integrante il dolo specifico. La fattispecie normativa in questione pone una questione di grande rilievo, e cioè se sia punita la diffusione soltanto di conversazioni captate da chi era presente oppure anche di quelle captate da terzo estraneo in luoghi diversi dalla privata dimora. La questione nasce a causa di una farraginosa formulazione della fattispecie. Stando alla lettera della legge, sembra che il legislatore abbia distinto due diverse ipotesi. Da un lato, quella delle «riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati», dall'altro, quella delle «registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione». Poiché il participio passato “svolte”, essendo al femminile, non può che essere riferito soltanto alle conversazioni e non anche agli incontri, si dovrebbe ritenere che la partecipazione diretta del soggetto che effettua la captazione sia richiesta soltanto per le registrazioni di conversazioni e non anche per le riprese di incontri privati. Se così fosse, in buona sostanza, il legislatore avrebbe distinto tra riprese di immagini, rispetto alle quali la captazione può avvenire soltanto da parte di terzi, e registrazioni di suoni, rispetto ai quali invece la captazione può avvenire da parte di terzo o di un soggetto presente. Tuttavia, risulta preferibile la soluzione che richiede sempre la presenza di chi capta. Anzitutto, perché la stessa legge delega, formulata in modo decisamente più chiaro, si riferisce a «riprese audiovisive o registrazioni di conversazioni, anche telefoniche, svolte in sua presenza ed effettuate fraudolentemente», dove stavolta il participio passato “svolte” è riferito sia alle riprese che alle registrazioni. Inoltre, è la presenza e quindi il carattere fraudolento della captazione che attribuisce disvalore al tutto. A ben vedere, però, anche questa scelta di punire la captazione realizzata soltanto da soggetti presenti è destinata a suscitare alcune perplessità. Fuori dai luoghi di privata dimora, sarebbe stato più opportuno distinguere tra immagini e suoni. Mentre infatti rispetto alle prime, trattandosi di realtà che in luoghi pubblici o aperti al pubblico tutti possono captare sarebbe opportuno escludere la punibilità (e non è un caso che rispetto all'immagine la tutela tenda ad essere riservata alla responsabilità civile, come si ricava dalla legge sul diritto d'autore), rispetto ai suoni, invece, sarebbe opportuno punire non soltanto la captazione realizzata da chi è presente, ma anche dal terzo estraneo e sempre nell'ipotesi in cui le notizie vengano utilizzate, e ciò perché i suoni (le conversazioni) non sono di per sé esposte al pubblico, con la conseguenza che anche la captazione fraudolenta da parte di terzi esprime un disvalore. Nel caso di specie, il motivo di ricorso è stato respinto sul rilievo che il dolo eventuale ritenuto dai giudici di merito deve intendersi riferito “all'elemento soggettivo che sorregge la condotta materiale del reato, da considerarsi quale volontaria messa in circolazione del video ritraente un momento intimo dell'incontro privato tra l'imputato e la persona offesa e la sua eventuale diffusione”, mentre il fine specifico perseguito dall'agente può ritenersi provato sulla base della “stessa oggettiva materialità della condotta”, ovvero sulla base delle “modalità con le quali il filmato è stato realizzato” e del “mezzo di diffusione del filmato”, ritenuti direttamente esplicativi della precisa volontà dell'imputato di danneggiare la reputazione della vittima. Osservazioni Un elemento chiave della sentenza analizzata è l'esclusione dell'applicabilità dell'art. 612-ter c.p. (revenge porn), chiarendo che quest'ultimo si applica solo nel caso in cui il materiale sia stato prodotto con il consenso della vittima e successivamente diffuso senza autorizzazione. Nel caso analizzato, invece, la registrazione è stata effettuata senza il consenso della persona offesa, configurando esclusivamente il reato di art. 617-septies c.p. Il revenge porn è un reato introdotto nell'ordinamento italiano con la legge n. 69/2019 (Codice Rosso) e punisce la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso della persona ritratta. L'art. 612-ter c.p. stabilisce che: «chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 5.000 a 15.000 euro». Le caratteristiche principali di questo reato sono: la natura esplicita del contenuto diffuso secondo cui il materiale deve essere di tipo sessualmente esplicito; la produzione inizialmente consensuale: nella maggior parte dei casi, il materiale è stato realizzato con il consenso della vittima, ma poi diffuso senza autorizzazione. Infine, l'intento ritorsivo o umiliante: il revenge porn è spesso associato a situazioni di vendetta dopo la fine di una relazione. La sentenza in esame esclude la configurabilità del reato di revenge porn, poiché il video diffuso non era stato prodotto con il consenso della vittima, ma era stato registrato fraudolentemente, rendendo applicabile solo l'art. 617-septies c.p. La giurisprudenza ha iniziato a confrontarsi con l'applicazione dell'art. 617-septies c.p., analizzando casi concreti in cui la diffusione di registrazioni fraudolente ha causato danni alla reputazione delle vittime. Le decisioni dei tribunali sottolineano l'importanza di valutare attentamente l'intento dell'agente e l'effettivo pregiudizio arrecato, al fine di garantire una corretta applicazione della norma e una tutela efficace dei diritti fondamentali coinvolti. In conclusione, la sentenza conferma che il reato configurabile è esclusivamente l'art. 617-septies c.p., in quanto il video era stato registrato senza consenso, escludendo l'applicabilità del revenge porn. Questa distinzione è fondamentale per una corretta qualificazione giuridica delle condotte. |