Delitto di peculato, confisca e condizioni di ammissibilità del patteggiamento
11 Luglio 2025
Massima La confisca disposta nel patteggiamento non può essere assimilata, in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della richiesta di pena concordata dalle parti, alla condizione preliminare di accesso al rito della restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato prevista a pena di inammissibilità della richiesta di patteggiamento dall'art. 444, comma 1-ter c.p.p., nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis c.p. Il caso Il giudice dell'udienza preliminare, su concorde richiesta delle parti, con sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p., applicava agli imputati, per il delitto di concorso in peculato (artt. 110 e 314 c.p.), la pena ritenuta congrua, disponendo contestualmente la confisca del profitto del reato. Il Procuratore Generale presso la Corte di appello interponeva ricorso per cassazione denunciando violazione di legge e, in particolare, violazione dell'art. 444, comma 1-ter, c.p.p., stante la mancata restituzione integrale del profitto del reato, prevista come condizione di ammissibilità per la richiesta di patteggiamento nei reati anzidetti contro la pubblica amministrazione. La questione Preliminarmente il giudice di legittimità rileva che, per consolidata giurisprudenza, in tema di patteggiamento nei reati contro la Pubblica Amministrazione, è ricorribile per cassazione la sentenza pronunciata in difetto della restituzione integrale del prezzo o del profitto prevista ex art. 444, comma 1-ter, c.p.p., dal momento che essa ratifica un accordo illegale, concluso in violazione di una norma processuale prevista a pena di inammissibilità del rito, vizio deducibile ex art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p. (richiama, fra le tante, Cass. pen., sez. VI, 27 gennaio 2021, n. 19679). Dopo questa premessa, la Suprema Corte rileva che, nel caso in esame, è mancata ogni verifica da parte del giudice in ordine all'osservanza della condizione di ammissibilità prevista dall'art. 444, comma 1-ter, c.p.p., disposizione introdotta dalla legge n. 69 del 27 maggio 2015 che prevede la previa integrale restituzione del prezzo o del profitto dei reati quale condizione di ammissibilità della richiesta di applicazione di pena per determinate tipologie di reati contro la Pubblica Amministrazione (artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis c.p.). Le soluzioni giuridiche 1. La Corte di cassazione ha ritenuto fondato il ricorso e, dopo aver rilevato la mancata osservanza, da parte del giudice di merito, della condizione di ammissibilità del rito (i.e. la previa integrale restituzione del prezzo o del profitto del reato), evidenzia come la disposta confisca del profitto del reato non possa essere considerata circostanza idonea a sanare questo vizio processuale che, oltre a condizionare la legittimità dell'accordo, preclude l'ammissibilità del rito svoltosi in violazione di legge. La confisca disposta per un importo corrispondente a quello del profitto - continua la Corte - non equivale all'adempimento della condizione processuale che deve precedere la possibilità di accedere al patteggiamento, atteso che una tale equiparazione deve essere esclusa per la sostanziale diversità degli effetti economici della restituzione del profitto rispetto alla confisca; solo quest'ultima, difatti, comporta il trasferimento coattivo dei valori oggetto del provvedimento ablativo in favore del patrimonio dello Stato. Sul punto, viene altresì osservato che, in sede di patteggiamento, l'importo del profitto da restituire (condizione di ammissibilità del rito) non può che essere quello risultante dalla formulazione dell'imputazione, come contestata dal Pubblico Ministero, atteso che ogni diverso accertamento dell'importo del profitto presupporrebbe una decisione nel merito dell'accusa, decisione incompatibile con la fase processuale in cui si può avanzare la richiesta di applicazione della pena. Diversamente avviene per le statuizioni sulla confisca che, ove non incluse nell'accordo, possono essere decise secondo le valutazioni rimesse al giudice che procede il quale, sulla base degli atti di indagine a disposizione, è chiamato a verificare la sussistenza dei relativi presupposti, oltre che a determinarne l'importo e a precisare, ove possibile, le quote del profitto imputabili a ciascuno dei concorrenti del reato secondo le regole fissate dalla recente decisione delle Sezioni Unite n. 13783 del 26 settembre 2024 (depositata l'8 aprile 2025). 2. Il giudice di legittimità, inoltre, evidenzia come non sia necessario stabilire se il denaro o gli altri beni sottoposti a confisca in misura equivalente all'importo del profitto siano stati oggetto di materiale apprensione attraverso un provvedimento di sequestro per un importo corrispondente a quello del profitto; e ciò proprio in ragione della non equipollenza degli effetti della restituzione del profitto a quelli della confisca. Difatti, nel caso del peculato, la restituzione del profitto va operata nei confronti dell'ente pubblico danneggiato dall'indebita appropriazione, mentre il sequestro preventivo è funzionale all'adozione della confisca che comporta il trasferimento coattivo dei beni nel patrimonio dello Stato e, quindi, non in favore dell'ente depauperato dal peculato. Sul punto, viene osservato che, sebbene la restituzione del profitto, quale condizione di ammissibilità del patteggiamento, esclude la possibilità di disporne la confisca all'esito del giudizio, ciò non giustifica, a contrario, il ragionamento opposto che vorrebbe equiparare la confisca alla restituzione del profitto, quale suo equipollente. Insomma, se è vero che la confisca del profitto del reato non può essere disposta nel caso di restituzione integrale della somma illecitamente ottenuta, non è altrettanto vero che la confisca del profitto, ove disposta, abbia un effetto sanante rispetto alla inosservanza della condizione di ammissibilità del rito del patteggiamento prevista dall'art. 444, comma 1-ter, c.p.p. Infatti, mentre il conseguimento del profitto del reato deve necessariamente permanere fino al momento dell'applicazione della sanzione, in ossequio al principio secondo il quale l'ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall'azione delittuosa, la restituzione del profitto all'ente vittima del peculato ha natura ed effetti diversi dalla confisca e, quindi, non può mai essere equiparata alla misura ablativa, neppure se i beni che integrano il profitto siano stati sottoposti a sequestro e siano stati già materialmente sottratti alla disponibilità dell'autore del reato. 3. Da ultimo, la Corte fornisce chiarimenti in ordine alla finalità dell'istituto previsto dall'art. 444 comma 1-ter, c.p.p. che non è riparatoria o risarcitoria, ma risponde alla stessa finalità sottesa alla confisca del profitto o del prezzo del reato, seppure con le peculiarità proprie di una condizione processuale, la cui osservanza è rimessa alla libera scelta dell'imputato. La ratio della norma, infatti, è solo quella di escludere che l'autore dei reati contro la pubblica amministrazione, tassativamente indicati (artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis c.p., tra cui non rientra l'art. 321 c.p., ovvero la corruzione dal lato attivo del corruttore, come rilevato anche nell'ordinanza della C. cost., 6 luglio 2022 n. 194), possa fruire dei benefici connessi al patteggiamento [in particolare, la riduzione della pena], ove non abbia provveduto a rinunciare al vantaggio economico derivante dal reato con riferimento al profitto o al prezzo del reato. Non ha di mira, quindi, la tutela dell'interesse del soggetto danneggiato dal reato, ovverosia la finalità di assicurare la riparazione del danno subito, ma persegue la finalità di impedire che l'autore possa trarre beneficio dalla commissione del reato, conservando il vantaggio economico da esso conseguito, ma al solo limitato scopo di precludergli l'accesso al rito alternativo del patteggiamento, senza le finalità sanzionatorie, preventive o punitive, tipiche della confisca. D'altra parte, conclude la Corte, essendo una condizione processuale che precede l'accertamento di responsabilità, appare evidente che la sua finalità non possa mai essere anticipatoria della confisca che segue necessariamente la condanna, cui è equiparata la sentenza di patteggiamento agli effetti della confisca. 3.1 Sulla scorta delle considerazioni di cui sopra, poi, la Corte fornisce una interessante soluzione al caso in cui, come in quello oggetto di scrutinio, la restituzione del prezzo o del profitto del reato non sia materialmente possibile stante l'intervenuta estinzione dell'ente pubblico depauperato dal reato. Sul punto, viene evidenziato che l'adempimento della condizione di ammissibilità del rito [i.e. l'integrale restituzione del prezzo o del profitto del reato] prescinde dall'interesse personale dell'avente diritto alla restituzione, essendo al contrario rilevante il solo interesse dell'imputato ad accedere al patteggiamento, con la conseguenza che, anche ove la restituzione non sia materialmente o giuridicamente possibile, tale condizione trova comunque applicazione, essendo sempre suscettibile di esecuzione tramite il deposito della somma di denaro corrispondente al profitto o al prezzo del reato presso la cancelleria del giudice che procede, nelle forme dell'offerta reale di cui all'art. 1209 c.c. La restituzione del profitto o del prezzo del reato, quale condizione di ammissibilità del patteggiamento, resta in ogni caso affidata al vaglio del giudice che procede, il quale, all'esito della definizione del patteggiamento, potrebbe anche non disporla ma provvedere, in alternativa, alla confisca dei valori offerti in restituzione, ove ne ricorrano i presupposti di legge. Ciò, peraltro, vale sempre nel caso in cui il reato sia la corruzione, atteso che diversamente dal peculato o dalla concussione, la restituzione del prezzo o del profitto del reato non potrebbe mai essere eseguita, non essendovi un soggetto danneggiato dal reato, trattandosi di un reato a concorso necessario che esclude il diritto alla restituzione da parte del corruttore nei confronti del corrotto, con la conseguenza che la somma offerta in restituzione dal corrotto per poter accedere al patteggiamento sarebbe sempre e solo suscettibile di confisca in caso di accoglimento della richiesta di pena patteggiata. 3.2 In definitiva, si deve ritenere che la restituzione del profitto o del prezzo del reato prevista dall'art. 444, comma 1-ter, c.p.p. non vada intesa come la retrocessione di quanto ricevuto per commettere il reato allo stesso soggetto da cui è stata ricevuta (come nel caso della corruzione), né come ristoro o riparazione della perdita economica subita dal soggetto danneggiato dalla indebita appropriazione (nel caso del peculato) o dalla vittima dell'abuso costrittivo del pubblico ufficiale (nel caso della concussione), ma come un atto dispositivo di carattere patrimoniale che dia conto della dismissione del vantaggio economico, con la messa a disposizione della somma corrispondente al prezzo o al profitto del reato quale condizione processuale per poter accedere al rito del patteggiamento, affidando poi all'autorità giudiziaria la valutazione della destinazione da dare in concreto a tale offerta. Resta inteso, ovviamente, che non essendo previste dalla norma di legge in esame forme vincolate per l'adempimento della condizione processuale per l'accesso al patteggiamento, la verifica della sua osservanza è rimessa alla cognizione del giudice che procede, non potendosi escludere che, anche forme diverse dall'offerta reale di cui all'art. 1209 c.c., possano, a seconda dei casi concreti, fare ritenere soddisfatta tale condizione. 4. In conclusione, in difetto della condizione di ammissibilità della richiesta di applicazione della pena prevista dall'art. 444, comma 1-ter, c.p.p., la sentenza impugnata è stata annullata senza rinvio, con conseguente trasmissione degli atti al Giudice per le indagini preliminari per un nuovo esame. |