Connivenza consapevole e alterazione fraudolenta: legittimo il licenziamento per violazione del vincolo fiduciario

10 Luglio 2025

La Corte di Appello di L’Aquila si è pronunciata in materia di licenziamento disciplinare e utilizzabilità delle prove audiovisive acquisite da soggetti terzi stabilendo che in caso di fondato sospetto non violano la privacy le video riprese effettuate per documentare il comportamento disonesto del lavoratore.

Massima

È legittimo il licenziamento disciplinare del lavoratore che, pur non essendo direttamente autore della condotta illecita, assiste consapevolmente a ripetute alterazioni fraudolente delle analisi merceologiche da parte dei colleghi, omettendo di segnalarle, configurando così una condotta di connivenza idonea a ledere irreversibilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro.

Il caso

Tizio si occupava di svolgere delle attività di analisi merceologiche e presidio dei flussi di rifiuti plastici. Le sue mansioni includevano la verifica dei materiali in ingresso e in uscita, la supervisione delle attività di campionamento e pesatura nonché l’inserimento dei dati nel sistema informatico aziendale. A seguito della rilevazione di anomalie nei risultati delle analisi dei rifiuti, in particolare alterazioni fraudolente del peso la società committente ha incaricato un investigatore privato di effettuare video-riprese all’interno dell’impianto, il quale aveva documentato modifiche non autorizzate ai risultati delle operazioni di pesatura dei rifiuti, in cui il lavoratore veniva ritenuto coinvolto per non aver segnalato tali irregolarità, contribuendo, inoltre, al riversamento nel sistema informatico di dati non conformi. Le immagini hanno documentato che alcuni operatori aggiungevano oggetti estranei (come una palla da bowling o pezzi di ferro) ai rifiuti da pesare, per falsarne il peso. Tizio era presente durante tali operazioni, senza intervenire o segnalarle, e successivamente inseriva i dati alterati nel sistema. Successivamente Tizio, a seguito della ricezione della contestazione formale degli addebiti, seguita dal licenziamento per giusta causa che si fondava sulla sua connivenza consapevole con le condotte illecite dei colleghi, agì in giudizio contro il proprio datore di lavoro.  Il Tribunale di primo grado ha ritenuto il licenziamento illegittimo per sproporzione, condannando il datore di lavoro al pagamento di 8 mensilità a titolo risarcitorio. Il giudice ha ritenuto che: le video-riprese fossero potenzialmente illegittime, che il lavoratore non avesse un ruolo attivo nelle alterazioni e che l’assenza di precedenti disciplinari attenuasse la gravità della condotta. Il datore di lavoro propose appello sostenendo la gravità della condotta omissiva, la legittimità delle prove acquisite da un soggetto terzo e la rottura del vincolo fiduciario. Tizio, dal canto suo, propose appello incidentale, chiedendo la reintegrazione o, in subordine, la conferma della sentenza di primo grado.

La questione

Si può licenziare un soggetto anche se non direttamente responsabile delle alterazioni fraudolente di un certo prodotto venendo meno il vincolo fiduciario che lo lega al datore di lavoro?

Le soluzioni giuridiche

La Corte d’Appello dell’Aquila, con la Sentenza n. 79 del 6 maggio 2025, ha riformato integralmente la decisione del Tribunale di primo grado, riconoscendo la piena legittimità del licenziamento disciplinare intimato al lavoratore. In particolare, i giudici di secondo grado hanno ritenuto che la condotta del dipendente, pur non essendo direttamente esecutiva delle alterazioni fraudolente delle analisi merceologiche, fosse comunque gravemente lesiva del vincolo fiduciario che deve sussistere nel rapporto di lavoro. Tizio, infatti, era stato ripreso in più occasioni mentre assisteva passivamente a operazioni illecite compiute dai colleghi, consistenti nell’alterazione del peso dei rifiuti mediante l’inserimento di oggetti estranei, senza mai intervenire o segnalare l’accaduto, e anzi contribuendo indirettamente alla falsificazione dei dati attraverso l’inserimento nel sistema informatico dei risultati alterati. Pur non emergendo, difatti, una stabile compartecipazione alle attività illecite poste in essere dai colleghi, le prove raccolte indicano almeno un atteggiamento di favoreggiamento da parte del lavoratore, consistente nella mancata segnalazione delle irregolarità e nell’omertà rispetto agli effetti pregiudizievoli di tali comportamenti. Questo orientamento rafforza l’idea che il lavoratore non sia un soggetto passivo, ma un attore responsabile all’interno dell’organizzazione aziendale. Il comportamento di Tizio è stato, quindi, ritenuto una grave violazione degli obblighi di fedeltà e correttezza e per tale motivo, il licenziamento per giusta causa è stato ritenuto proporzionato e conforme alla normativa.

I giudici di seconde cure hanno valorizzato non solo la reiterazione della condotta omissiva, ma anche il ruolo ricoperto dal lavoratore, che, in quanto presidiante, aveva specifici compiti di controllo e supervisione, e dunque una responsabilità rafforzata rispetto alla correttezza delle operazioni svolte. La sua presenza silente e la mancata denuncia delle irregolarità sono state interpretate come una forma di connivenza consapevole, idonea a compromettere in modo irreversibile il rapporto fiduciario con il datore di lavoro.

Dal punto di vista giuridico, la Corte di Appello di L’Aquila ha ritenuto pienamente legittimo l’utilizzo in giudizio delle video-riprese acquisite da un soggetto terzo – nella fattispecie, la società committente – escludendo che si trattasse di un controllo illecito ai sensi dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.

La Corte ha infatti chiarito che tali riprese non erano finalizzate a un controllo a distanza dell’attività lavorativa da parte del datore di lavoro, bensì erano state effettuate in un contesto di fondato sospetto di comportamenti illeciti, con finalità esclusivamente difensive. In tal senso, esse non rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 4, ma si configurano come strumenti di tutela del patrimonio aziendale, legittimamente utilizzabili.

Inoltre, la Corte ha dichiarato inammissibile l’eccezione sollevata dal lavoratore in merito alla presunta violazione della normativa sulla privacy, in quanto tale doglianza non era stata proposta nel giudizio di primo grado. Le immagini sono state quindi qualificate come prova documentale validamente acquisita, idonea a dimostrare la sussistenza del fatto contestato.

La pronuncia si inserisce nel solco della giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione in materia di controlli difensivi, richiamando in particolare le sentenze n. 25732/2021 e n. 27732/2021, secondo cui il datore di lavoro – o, come in questo caso, un soggetto terzo interessato – può legittimamente ricorrere a strumenti di controllo in presenza di indizi concreti di comportamenti illeciti, purché tali controlli non siano sistematici né generalizzati.

In conclusione, la Corte ha ritenuto che la condotta del lavoratore integrasse una violazione grave, consapevole e reiterata dei doveri fondamentali che regolano il rapporto di lavoro, in particolare quelli di lealtà, correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 del Codice Civile. Tali obblighi, pur non essendo sempre espressamente codificati nel contratto individuale, costituiscono un presupposto implicito e inderogabile del vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

La Corte ha evidenziato come il comportamento omissivo del dipendente abbia contribuito in modo determinante al verificarsi del danno, per effetto della sua inerzia consapevole e della mancata collaborazione con l’organizzazione. Questo ha giustificato, secondo i giudici, il recesso per giusta causa, in quanto è venuto meno l’elemento fiduciario essenziale alla prosecuzione del rapporto.

Nel bilanciamento tra i diritti contrapposti – da un lato, la tutela del lavoratore e della sua dignità; dall’altro, la salvaguardia del patrimonio aziendale e dell’integrità organizzativa – la Corte ha riconosciuto la prevalenza dell’interesse datoriale, in presenza di un fondato sospetto di illecito e di un comportamento che ha compromesso la fiducia nel dipendente.

Di conseguenza, sono state rigettate tutte le domande del lavoratore, comprese quelle risarcitorie e reintegratorie, e lo stesso è stato condannato alla restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado, nonché al pagamento delle spese processuali relative ad entrambi i gradi di giudizio.

Osservazioni

Il provvedimento analizzato sottolinea un principio cardine del diritto del lavoro: il rapporto tra datore e lavoratore si fonda su un vincolo fiduciario che, una volta compromesso, può giustificare anche il licenziamento in assenza di una condotta attiva illecita. In questo caso, la Corte ha ritenuto che la mera presenza del lavoratore durante le alterazioni fraudolente, unita alla sua mancata reazione, fosse sufficiente a incrinare irrimediabilmente tale fiducia. Si tratta di un'estensione significativa del concetto di “giusta causa”, che include anche la responsabilità omissiva in contesti ad alta sensibilità operativa. Tradizionalmente, la responsabilità disciplinare è associata a comportamenti attivi contrari ai doveri contrattuali. Tuttavia, tale provvedimento valorizza la connivenza silente come forma di partecipazione indiretta a un illecito.

Uno degli aspetti più delicati della vicenda riguarda l'utilizzabilità delle video-riprese effettuate da un soggetto terzo. La Corte ha escluso l'applicabilità dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, ritenendo che non si trattasse di un controllo a distanza operato dal datore di lavoro, bensì di una prova documentale acquisita da un committente esterno. Questa impostazione, sebbene coerente con la giurisprudenza più recente (Cass. n. 25732/2021), solleva interrogativi sul bilanciamento tra esigenze di tutela del patrimonio aziendale e diritti fondamentali del lavoratore, in particolare il diritto alla riservatezza e alla trasparenza nei controlli.

La Corte ha riconosciuto piena validità probatoria alle immagini acquisite da un investigatore privato incaricato da un soggetto terzo. Questo orientamento amplia le possibilità per il datore di lavoro di fondare provvedimenti disciplinari su elementi raccolti fuori dal perimetro aziendale, purché vi sia un fondato sospetto e un interesse legittimo alla tutela del patrimonio. Tuttavia, ciò potrebbe aprire la strada a un uso più esteso di strumenti investigativi, con il rischio di aggirare le garanzie previste dalla normativa lavoristica e privacy.

Un altro punto rilevante attiene alla valutazione della proporzionalità tra la condotta e la sanzione: mentre il Tribunale aveva ritenuto eccessivo il licenziamento, valorizzando l'assenza di precedenti disciplinari e la natura passiva del comportamento, la Corte d'Appello, invece, ha sottolineato che anche un singolo episodio, se grave e sintomatico di una rottura del vincolo fiduciario, può giustificare il recesso. Tale approccio rafforza l'idea che la gravità intrinseca del fatto prevalga su elementi attenuanti, specie in contesti in cui la correttezza dei dati è essenziale per la sostenibilità del rapporto contrattuale.

Il Provvedimento esaminato ha altresì un impatto sul piano organizzativo: essa richiama le aziende a definire con chiarezza i ruoli e le responsabilità dei dipendenti, soprattutto in ambiti ad alta responsabilità come il controllo qualità. Al contempo, richiama i lavoratori a una maggiore consapevolezza del proprio ruolo, anche in termini di etica professionale e doveri di collaborazione attiva.

Il Provvedimento analizzato richiama le Organizzazioni a definire con precisione ruoli e responsabilità, soprattutto in ambiti critici come controllo qualità, sicurezza, gestione dati e rapporti con clienti. Invita, inoltre, i lavoratori ad una maggiore consapevolezza del proprio ruolo, promuovendo etica professionale e collaborazione attiva.

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