Dimissioni di fatto: le assenze verificatesi prima dell’entrata in vigore del Collegato lavoro non rilevano

11 Luglio 2025

Le assenze ingiustificate di un dipendente verificatesi prima dell’entrata in vigore del c.d. "Collegato lavoro" (l. n. 2003/2024) non possono essere considerate per integrare la fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti. In assenza di dimissioni, devono trovare applicazione le tutele previste in caso di licenziamento.

Il caso esaminato riguarda una delle prime applicazioni giurisprudenziali delle dimissioni per fatti concludenti, introdotte dalla l. n. 203/2024, nota come "Collegato lavoro". Questa normativa stabilisce che, se il lavoratore si assenta ingiustificatamente per un periodo superiore a quello previsto dal contratto collettivo (o, in mancanza, oltre quindici giorni), il rapporto di lavoro si considera risolto per volontà del lavoratore.

Nel caso di specie, una lavoratrice era rimasta assente dal lavoro senza fornire giustificazioni dal 7 al 14 gennaio. Il 12 gennaio era entrata in vigore la nuova normativa e, due giorni dopo, il datore di lavoro aveva comunicato al Servizio del Lavoro, tramite PEC, la cessazione del rapporto per dimissioni di fatto. La lavoratrice ha contestato il provvedimento, sostenendo che si trattava in realtà di un licenziamento orale, quindi nullo, e comunque non preceduto da contestazione disciplinare. L'azienda, dal canto suo, riteneva che le assenze superassero il limite previsto dal contratto collettivo, configurando quindi dimissioni per fatti concludenti.

Il Tribunale di Trento ha respinto la ricostruzione della società. Secondo il giudice, le assenze avvenute prima dell'entrata in vigore della nuova legge non potevano essere utilizzate per applicare la nuova disciplina, in quanto, al momento in cui si sono verificate, tali condotte avevano solo rilevanza disciplinare. Attribuire loro un diverso significato giuridico (ossia di rappresentare per fatti concludenti la volontà di risolvere il rapporto di lavoro) violerebbe il principio di certezza del diritto e di tutela dell'affidamento dei cittadini sulle norme in vigore al momento dei fatti.

Una volta esclusa l'esistenza di dimissioni per fatti concludenti, il giudice ha riconosciuto che il rapporto era stato interrotto per iniziativa unilaterale della società. In particolare, è stato accertato che la società aveva rifiutato la prestazione lavorativa offerta dalla dipendente, configurando un licenziamento di fatto. A fronte di tale ricostruzione, il giudice ha ritenuto applicabili le tutele previste per i licenziamenti. Di conseguenza, la società è stata condannata a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro e a corrisponderle un'indennità risarcitoria pari a cinque mensilità.

Come anticipato, si tratta di una delle prime applicazioni giurisprudenziali della nuova disciplina, nell'ambito della quale il Tribunale ha fornito alcuni importanti chiarimenti. Oltre ad aver escluso che le assenze anteriori all'entrata in vigore della nuova legge possano essere valorizzate ai fini della risoluzione per fatti concludenti, il giudice ha implicitamente ritenuto che il limite temporale da considerare per valutare l'assenza ingiustificata sia quello previsto dal contratto collettivo applicabile, anche qualora – come nel caso di specie – sia inferiore al termine di quindici previsto dalla legge. Nel caso concreto, il CCNL prevedeva infatti che assenze ingiustificate superiori a tre giorni potessero giustificare il licenziamento. Tale lettura si discosta da quella adottata dal Ministero del Lavoro nella circolare interpretativa n. 6/2025, secondo cui la soglia prevista dal contratto collettivo sarebbe rilevante solo se superiore ai quindici giorni indicati dalla legge. Da una analisi letterale della norma secondo cui «in caso assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, […]», ci pare condivisile la tesi del Tribunale di Trento. Resta, tuttavia, da vedere se e in che misura l'orientamento interpretativo espresso dal giudice del lavoro di Trento troverà conferme nella giurisprudenza successiva.

Fonte: (Diritto e Giustizia)

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