La prescrizione delle differenze retributive maturate dai detenuti che prestino lavoro carcerario

15 Luglio 2025

Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte, affrontando nuovamente il tema della prescrizione delle differenze retributive maturate – in ragione dell’adeguamento della remunerazione alle “tariffe sindacali” di settore – dai detenuti che abbiano prestato lavoro carcerario, esclude a tal fine la rilevanza delle “cessazioni intermedie” del rapporto di lavoro intramurario, da qualificarsi invece come mere sospensioni a fronte dell’unico contesto detentivo, e ribadisce la centralità della conclusione del rapporto lavorativo, momento tuttavia che – ove anteriore alla data di cessazione dello stato detentivo – è onere dell’amministrazione individuare.

Massima

In tema di adeguamento della remunerazione spettante ai detenuti per il lavoro carcerario prestato, la prescrizione resta sospesa anche durante le “cessazioni intermedie” del rapporto di lavoro che siano intervenute nell’ambito di un unico contesto detentivo giacché, tra le diverse chiamate al lavoro per periodi prefissati secondo turni di rotazione e per tempi limitati, si verificano in realtà mere sospensioni del rapporto lavorativo intramurario, inidonee a determinare il decorso della prescrizione, il quale va invece ricollegato alla conclusione dell’unitario rapporto di lavoro, momento – eventualmente anteriore alla cessazione dello stato di detenzione – che è onere dell’amministrazione individuare, anche deducendo circostanze quali l’età, lo stato di salute o di idoneità al lavoro del detenuto.

Il caso

Tizio, in qualità di detenuto, prestava lavoro carcerario in modo non continuativo tra il 2006 ed il 2017, svolgendo nel tempo sostanzialmente le medesime mansioni di porta vitto e scopino. Con ricorso del 2019, agiva in giudizio al fine di ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento delle differenze spettantigli, derivanti dall’adeguamento della retribuzione alle tariffe sindacali di settore. Il Ministero, costituito a mezzo di proprio funzionario ex art. 417-bis c.p.c., eccepiva – tra l’altro – la prescrizione quinquennale dei crediti azionati.

Il Tribunale, senza pronunciarsi sulla validità della costituzione di parte resistente, respingeva nel merito l’eccezione di prescrizione e condannava l’amministrazione al pagamento delle differenze retributive maturate dal ricorrente sin dal 2006.

La sentenza veniva impugnata dal solo Ministero. Tizio, infatti, senza proporre appello incidentale, si limitava ad eccepire nel giudizio di secondo grado il difetto di ius postulandi – rilevabile anche d’ufficio – dei funzionari costituitisi in primo grado per conto dell’amministrazione, con conseguente pretesa inesistenza della costituzione, inammissibilità della sanatoria ai sensi dell’art. 182 cod. proc. civ. e novità dell’eccezione di prescrizione, da considerarsi tardivamente sollevata solo in grado di appello, oltre che infondata.

La Corte distrettuale, ritenuta – in difetto di appello incidentale – l’inammissibilità dell’eccezione di inesistenza della costituzione del Ministero nel giudizio di primo grado e considerata pertanto come ritualmente e tempestivamente proposta l’eccezione di prescrizione sollevata dall’amministrazione, accoglieva parzialmente il gravame, dichiarando la prescrizione dei soli crediti maturati dal detenuto anteriormente al febbraio 2015, prima del quinquennio antecedente la data di notifica del ricorso, ed escludendo tuttavia la rilevanza a tal fine di una breve cesura del rapporto intervenuta nel mese di marzo 2015, ritenuta inidonea a determinare l’effettiva interruzione del rapporto di lavoro, tenuto conto che il detenuto nei mesi di febbraio e aprile/maggio 2015 aveva svolto, all’interno dello stesso istituto penitenziario, le medesime mansioni.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore detenuto.

La questione

Con l'ordinanza in commento, la Suprema Corte – dichiarato inammissibile il motivo di ricorso con cui il lavoratore detenuto ha riproposto le eccezioni di irrituale costituzione del Ministero nel giudizio di primo grado e di conseguente difetto di ius postulandi – ha invece affrontato nel merito le seguenti ulteriori questioni, richiamando i principi già elaborati con la propria precedente pronuncia Cass. n. 17484/2024:

  • la prescrizione deve considerarsi sospesa durante le “cessazioni intermedie” del rapporto di lavoro intramurario?
  • quando il rapporto di lavoro carcerario può considerarsi cessato?
  • su chi grava l'onere di allegare e dimostrare l'epoca di cessazione del rapporto lavorativo ai fini della prescrizione?
  • da quando decorre dunque la prescrizione delle differenze retributive?

Le soluzioni giuridiche

Con l'ordinanza in commento, la Corte – richiamando la propria precedente pronuncia n. Cass. 17484/2024 – ribadisce che non rilevano, ai fini della prescrizione, le cessazioni intermedie dell'attività lavorativa, le quali si configurano piuttosto come mere sospensioni di un rapporto di lavoro sostanzialmente unico, “se si considera che vi sono una chiamata e un prefissato periodo di lavoro secondo turni e per un tempo limitato, cui seguono altre chiamate in un unico contesto di detenzione”.

Rilevano invece sotto tale profilo, secondo la Corte, le peculiari caratteristiche dell'attività lavorativa carceraria e la sua finalità rieducativa e di reinserimento sociale (v. art. 27, comma 3 Cost. e artt. 20 e ss. della legge 26 luglio 1975 n. 354), finalità in funzione della quale è prevista la predisposizione di meri elenchi per l'ammissione al lavoro secondo turni di rotazione ed avvicendamento, tali da indurre ad escludere che i periodi di lavoro intramurario configurino rapporti di lavoro analoghi a quelli instaurati in virtù di contratti a termine, concordati invece tra le parti in un sistema legislativamente disciplinato quanto a causali, oggetto e durata.

La Corte, pertanto, ribadisce in sostanza che il decorso della prescrizione va ricollegato al momento in cui l'unitario rapporto di lavoro carcerario debba considerarsi concluso, sottolineando tuttavia che è onere dell'amministrazione dedurre e dimostrare che tale conclusione – per circostanze quali l'età del detenuto, il suo stato di salute, l'idoneità al lavoro, ecc. – sia eventualmente intervenuta in epoca anteriore alla fine dello stato di detenzione.

Osservazioni

L'ordinanza in commento riprende, ai fini dello specifico profilo del decorso della prescrizione, il tema dell'individuazione del momento della cessazione del rapporto di lavoro carcerario, escludendo che esso possa essere individuato nelle “cessazioni intermedie”, giacché il rapporto lavorativo deve considerarsi invece sostanzialmente unico nell'ambito di un medesimo contesto detentivo anche a fronte di plurimi periodi di lavoro ed intervalli non lavorati.

Sotto tale profilo, dunque, l'ordinanza si inserisce nel solco delle più recenti pronunce con cui la Corte, sin dalla sentenza Cass. n. 17476/2024, ha sviluppato – con riguardo alle “cessazioni intermedie” – i principi già elaborati nei numerosi precedenti (cfr. Cass. 11 febbraio 2015, n. 2696; Cass. 16 febbraio 2015, n. 3062; Cass. 26 febbraio 2015, n. 3925; Cass. 9 aprile 2015, n. 7147; e la più recente Cass. 24 ottobre 2019, n. 27340) che si erano tuttavia occupati piuttosto di stabilire se la prescrizione, a seguito della sospensione in costanza di rapporto di lavoro, riprendesse a decorrere dalla data di cessazione di tale rapporto ovvero dalla data eventualmente successiva della cessazione dello stato di detenzione, optando per la prima di tali soluzioni, in difetto di specifiche disposizioni normative che estendano la sospensione sino al permanere del mero stato detentivo.

In tali più risalenti pronunce la Corte aveva infatti affermato che: “In tema di lavoro carcerario, il termine di prescrizione dei diritti del lavoratore non decorre durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, in sé privo di stabilità, poiché, nei confronti del prestatore, è configurabile una situazione di "metus", che, pur non identificandosi necessariamente in un timore di rappresaglie da parte del datore di lavoro, è riconducibile alla circostanza che la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dall'attività lavorativa del detenuto possono non coincidere con quelli che contrassegnano il lavoro libero, attesa la necessità di preservare le modalità essenziali di esecuzione della pena e le corrispondenti esigenze organizzative dell'amministrazione penitenziaria. Ne consegue, peraltro, che la sospensione della prescrizione permane solo fino alla cessazione del rapporto di lavoro in quanto, in assenza di specifiche disposizioni, non può estendersi all'intero periodo di detenzione” (Cass. 11 febbraio 2015, n. 2696).

Tuttavia, l'ordinanza in esame – così come le più recenti pronunce intervenute nel 2024 –sottolinea come gli oneri di allegazione e prova relativi alla prescrizione gravino sull'amministrazione.

Di tal ché – fermi gli “oneri probatori afferenti qualsivoglia credito o pretesa” gravanti sul detenuto quale creditore ai sensi del primo comma dell'art. 2697, cod. civ. (cfr. Cass. civ., sez. lav., ord., 24 ottobre 2019 n. 27340) –, la Corte ribadisce ora che gravano invece sull'amministrazione – secondo la disciplina generale di cui all'art. 416, comma 2, cod. proc. civ. nonché ai sensi del secondo comma dell'art. 2697 cit. – gli oneri di allegazione e prova circa un fatto estintivo del credito qual è la prescrizione.

Con la conseguenza che mentre il detenuto istante, a fondamento del proprio credito, deve allegare e dimostrare di aver lavorato per determinati periodi, secondo la turnazione imposta svolgendo date mansioni, è invece l'amministrazione a dover allegare e dimostrare l'epoca di intervenuta conclusione del rapporto di lavoro, momento dal quale riprende a decorrere la prescrizione, quale fatto estintivo del diritto di credito.

Ciò posto, tuttavia, la stessa Corte – ribadendo peraltro che la fine dello stato detentivo non dipende dalla volontà del detenuto, il quale non può rifiutarla, al fine di mantenere il rapporto di lavoro – sembra riconoscere in sostanza che la prescrizione debba farsi decorrere (al più tardi) dalla data di cessazione della detenzione ogniqualvolta l'amministrazione ometta di dedurre e/o dimostrare che il rapporto di lavoro sia cessato in epoca anteriore in ragione delle condizioni personali del detenuto (età, stato di salute, idoneità al lavoro, ecc.) o di altre specifiche circostanze.

Ne deriva che, mentre sul piano normativo, il decorso della prescrizione va ricollegato alla conclusione del rapporto di lavoro, in difetto di disposizioni che estendano la sospensione della prescrizione sino al permanere dello stato detentivo, tuttavia – sul diverso piano degli oneri di allegazione e prova – è possibile che la prescrizione debba farsi decorrere dalla data di cessazione dello stato detentivo, ove l'amministrazione non deduca e provi che il rapporto lavorativo si è concluso in epoca anteriore.

Dall'ordinanza in commento, per altro verso, si evince poi come gli oneri di allegazione e prova gravanti sul Ministero della Giustizia in ordine all'individuazione del momento di conclusione del rapporto di lavoro carcerario, presuppongano che la stessa amministrazione abbia ritualmente e tempestivamente eccepito la prescrizione sin dal giudizio di primo grado, in coerenza con il principio secondo cui “Nel rito del lavoro, l'eccezione di prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto, è soggetta alla preclusione di cui all'art. 416 c.p.c. sicché la tardività della relativa deduzione può essere rilevata dal giudice anche d'ufficio. Tuttavia, ove manchi tale rilievo officioso, la parte interessata è tenuta - in forza di quanto si evince dall'art. 161 c.p.c., per cui tutti i motivi di nullità della sentenza si convertono in motivi di impugnazione, tranne l'omessa sottoscrizione della sentenza da parte del giudice - a denunciare il vizio in sede di gravame, pena il formarsi del giudicato interno sul punto e la preclusione sia della sua rilevabilità d'ufficio da parte del giudice d'appello, sia della sua deducibilità nei successivi gradi di giudizio” (Cass. 25 agosto 2020 n. 17643).

Nella fattispecie esaminata dall'ordinanza in commento, infatti, benché il Ministero si fosse irritualmente costituito nel giudizio di primo grado a mezzo di propri funzionari ai sensi dell'art. 417-bis cod. proc. civ., il Tribunale adito non aveva rilevato l'inesistenza della costituzione ed il difetto di ius postulandi, ed aveva provveduto ad esaminare nel merito l'eccezione di prescrizione. A sua volta il detenuto, convenuto in appello, aveva omesso di spiegare sul punto apposito gravame incidentale, limitandosi ad eccepire l'inesistenza della costituzione avversaria e dell'eccezione di prescrizione, e così determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata in ordine alla pronuncia implicita di avvenuta rituale proposizione dell'eccezione di prescrizione.

Deve, infatti, rammentarsi in proposito che, come da ultimo chiarito da Cass. 2 marzo 2025 n. 5510, l'art. 417-bis cit. è “norma che, in senso lato, appartiene all'ambito in cui la legge consente la difesa "personale" delle parti, cioè non a mezzo di "difensore" (art. 82 c.p.c.), per tale intendendosi un avvocato abilitato alla difesa tecnica, secondo le norme proprie della relativa professione. L'art. 417 bis c.p.c. ha, quindi, portata derogatoria rispetto a una diversa regola generale e, pertanto, non è suscettibile di applicazioni analogiche. Si tratta di una disposizione che riguarda le "controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell'articolo 413", con la conseguenza che la sua operatività, nella specie, dipende dal fatto che il lavoro carcerario sia ritenuto o meno come ricompreso fra detti "rapporti". Al riguardo, questa S.C., pur pronunciandosi in tema di competenza territoriale, ha chiarito - con orientamento reiterato nel tempo e dal quale non vi è ragione di dissentire - che la regola di cui all'art. 413, comma 5, c.p.c. è da intendere specificamente riferita ai rapporti di lavoro pubblico, mentre al lavoro carcerario sono applicabili i criteri previsti dall'art. 413, comma 2, c.p.c., trattandosi di prestazioni svolte - sia pure per il perseguimento dell'obiettivo di fornire alle persone detenute occasioni di lavoro e sotto la gestione degli istituti di pena, all'interno o all'esterno degli stessi penitenziari - nell'ambito di una struttura aziendale finalizzata alla produzione di beni per il soddisfacimento di commesse pubbliche e private, con conseguente instaurazione di un rapporto di lavoro privato (Cass., Sez. 6-lav., n. 12205 dell'8 maggio 2019; Cass., Sez. L, n. 18309 del 17 agosto 2009). Ne deriva che, nella presente controversia, non trova applicazione l'art. 417-bis c.p.c.”.

Peraltro, con la stessa pronuncia n. 5510/2025, la Corte ha ribadito come l'invalidità della costituzione del Ministero della Giustizia a mezzo di propri funzionari non sia sanabile neppure ai sensi dell'art. 182, comma 2, cod. proc. civ. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 3 del d. lgs. n. 149 del 2022), ricorrendo un'ipotesi di inesistenza o mancanza in atti della procura ad litem (cfr. anche Sezioni Unite, sentenza 21 dicembre 2022 n. 37434; mentre Cass. 9 ottobre 2023 n. 28251, in vigenza dell'art. 182 c.p.c. come novellato dal d. lgs. n. 149 del 2022, ha espressamente esteso la possibilità di sanatoria anche all'ipotesi di inesistenza della procura).

Infine, per completezza espositiva sull'argomento, sulla scorta della evidenziata involontarietà della cessazione della detenzione (non rifiutabile dal lavoratore al fine di conservare il rapporto di lavoro), si segnala il connesso tema dei trattamenti di disoccupazione in caso di cessazione del rapporto di lavoro carcerario, trattamenti esclusi dalla giurisprudenza più risalente (cfr. Cass. pen. 25 maggio 2006 n. 18505) ma ammessi recentemente quanto alla NASPI, proprio in ragione dello stato di disoccupazione involontaria, da Cass. 5 gennaio 2024 n. 396 in caso di cessazione del rapporto di lavoro per fine pena, da Cass. 23 febbraio 2025 n. 4741 in un caso di cessazione intermedia per scadenza di uno specifico progetto di assunzione a tempo determinato, e da Cass. 21 maggio 2025 n. 13577 in caso di scarcerazione del detenuto per affidamento terapeutico, anche alla luce dell'art. 20, comma 13, della legge 26 luglio 1975 n. 354, come sostituito dal d. lgs. 2 ottobre 2018 n. 124 (che ha previsto espressamente il diritto dei detenuti alla tutela assicurativa e previdenziale).

Riferimenti

V. Ricchezza, Lavoro carcerario e decorrenza della prescrizione dei crediti, Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2024

M. Molè, La scarcerazione del lavoratore detenuto (poi) disoccupato dà diritto alla Naspi: la Cassazione conferma, Diritto delle Relazioni Industriali, 2024

D. Satta Mazzone, Lavoro carcerario e diritti patrimoniali del lavoratore carcerato: due binari che non si incrociano, Diritto & Giustizia, 2019

S. Centofanti, Prescrizione e lavoro subordinato, Edizioni Scientifiche Italiane - Università degli Studi di Perugia – Pubblicazioni Facoltà di Giurisprudenza, 1987

A. Maresca, La prescrizione del credito di lavoro, Giuffrè, 1983

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