Licenziamento del lavoratore incapace: la Consulta interviene sulla decadenza dell'impugnazione

La Redazione
21 Luglio 2025

La Corte Costituzionale ha affermato che negare il congedo obbligatorio di paternità alla madre intenzionale nelle coppie omogenitoriali femminili viola il principio di uguaglianza e il superiore interesse del minore.

Con la sentenza in commento, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, l. n. 604/1966, nella parte in cui non prevede che, se al momento della ricezione della comunicazione del licenziamento (o durante il termine di sessanta giorni previsto per la relativa impugnazione, anche stragiudiziale) il lavoratore versi in condizione di incapacità di intendere o di volere, non opera l'onere della previa impugnazione e il lavoratore può agire entro il termine complessivo di duecentoquaranta giorni dalla ricezione della comunicazione.

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione nell'ambito di un procedimento in cui la lavoratrice, destinataria di un licenziamento disciplinare, aveva omesso l'impugnazione stragiudiziale nel termine prescritto, trovandosi, al momento della ricezione dell'atto, in uno stato depressivo grave tale da richiedere un trattamento sanitario obbligatorio. Solo una volta recuperata la pienezza delle proprie facoltà intellettive e volitive, la lavoratrice aveva tentato di opporsi al recesso datoriale.

La Consulta, dopo aver ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale, ha sottolineato che l'incapacità naturale, pur non equiparabile all'incapacità legale, può privare in concreto il lavoratore della possibilità effettiva di comprendere la portata del licenziamento e di attivarsi per impugnarlo. In tali circostanze, l'onere della tempestiva contestazione si traduce in un ostacolo materiale all'accesso alla giustizia, lesivo dell'art. 24 Cost., nonché dei diritti fondamentali garantiti dagli artt. 3,4 e 35 Cost.

Il rigido automatismo previsto dalla norma censurata, secondo la Corte, non bilancia adeguatamente gli interessi in gioco e si risolve in un'irragionevole equiparazione della condizione della persona incapace con quella del soggetto pienamente consapevole. Da qui la declaratoria di incostituzionalità, limitata alla parte in cui la norma non prevede un'esenzione dall'onere dell'impugnazione nei casi di incapacità naturale.

La portata della decisione

Pur riconoscendo la gravità del vulnus costituzionale, la Corte ha scelto di non accogliere l'ipotesi additiva auspicata dalla Cassazione – ovvero il differimento del termine dalla data della ricezione dell'atto a quella del recupero della capacità – per evitare l'introduzione di margini di aleatorietà in una disciplina improntata alla certezza dei rapporti giuridici.

Pertanto, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 6, primo comma, nella sola parte in cui non esclude l'applicazione dell'onere dell'impugnazione stragiudiziale nei confronti del lavoratore che versi, al momento del licenziamento o durante i sessanta giorni successivi, in stato di incapacità naturale. Resta, invece, fermo il termine massimo di 240 giorni per l'impugnazione giudiziale, previsto dalla combinazione tra i commi primo e secondo dell'articolo in esame.

Fonte: (Diritto e Giustizia)

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