Molestie sessuali sul lavoro e licenziamento ingiusto

La Redazione
25 Luglio 2025

Contrariamente alle affermazioni della lavoratrice e del datore di lavoro, non è possibile parlare di molestia sessuale. La sanzione applicata al dipendente accusato è stata ritenuta eccessiva; pertanto, egli ha diritto non solo al reintegro nel posto di lavoro, ma anche ad un adeguato risarcimento.

Nel caso di una Onlus dove una dipendente ha denunciato di essere stata molestata da un collega alla fine del turno di lavoro, emergono complesse implicazioni legali sia a livello penale che lavorativo. La vicenda si sviluppa in due distinte traiettorie: il processo penale contro il lavoratore, terminato con l'archiviazione, e il procedimento lavorativo con il licenziamento dell'uomo.

Nelle decisioni di merito, si censura la decisione estrema della Onlus: il lavoratore ha diritto al reintegro, retribuzioni non percepite e compensi economici per il danno subito. I giudici di Appello stabiliscono che i fatti contestati non costituivano molestie sessuali, ma piuttosto comportamenti inappropriati di saluto, meritevoli di sanzioni conservative anziché l'espulsione per lesione della dignità.

La Corte di cassazione convalida tale interpretazione: il comportamento tenuto non è da considerarsi molestia sessuale, non provocando intimidazione o degrado. L'azione del lavoratore viene classificata come scorretta ma non sessualmente prevaricatrice, richiedendo sanzioni conservatrici. In conclusione, il comportamento, sebbene impertinente, non giustifica un licenziamento legato a molestia sessuale, bensì richiede una corretta sanzione disciplinare.

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