Il repêchage può essere adempiuto per il tramite di una proposta di adibizione a mansioni inferiori con contestuale riduzione della retribuzione
10 Settembre 2025
Massima L’obbligo di repêchage gravante sul datore di lavoro deve considerarsi assolto qualora questi abbia offerto al lavoratore, prima del licenziamento, l’adibizione a mansioni diverse, anche inferiori. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è quindi legittimo qualora il lavoratore abbia rifiutato tale proposta. Non esclude l’adempimento dell’obbligo il fatto che al lavoratore siano offerte mansioni rientranti in un livello di inquadramento inferiore con contestuale riduzione della retribuzione, atteso che la proposta di modifica delle mansioni formulata in adempimento del repêchage non incontra i limiti previsti dall’art. 2103 c.c. Ciò in quanto le fattispecie della modifica delle mansioni in adempimento dell’obbligo datoriale e quella della modifica ex art. 2103 c.c. rispondono a rationes differenti e, perciò, incontrano diversi limiti. Il caso Un lavoratore, licenziato per giustificato motivo oggettivo, impugnava il licenziamento di fronte al Tribunale di Roma. Il giudice di primo grado, pur ritenendo sussistente la ragione organizzativa alla base della soppressione del posto di lavoro, ha dichiarato illegittimo il licenziamento per mancato assolvimento del repêchage. La proposta del datore di lavoro di adibizione a mansioni inferiori, rifiutata dal lavoratore, non sarebbe stata infatti sufficiente al fine di poter ritenere adempiuto l'onere datoriale, poiché implicava una «illegittima decurtazione della retribuzione». La Corte d'Appello di Roma, adita dal datore di lavoro in relazione alla questione dell'adempimento del repêchage, ha riformato la sentenza di primo grado, accertando quindi la legittimità del licenziamento. Secondo il collegio, poiché il repêchage può essere assolto anche tramite un accordo di modifica delle mansioni ex art. 2103, comma 6, c.c., ben potrebbe essere ammessa una contestuale riduzione della retribuzione, che difatti è consentita dalla norma codicistica. Di conseguenza, nel caso di specie il repêchage poteva considerarsi adempiuto attraverso la proposta di modifica delle mansioni sottoposta al lavoratore, anche se questa implicava una riduzione della retribuzione. Avverso la sentenza della Corte d'Appello il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione. La questione La questione sottoposta ai giudici di legittimità è sintetizzabile come segue: la proposta di modifica delle mansioni accompagnata da una riduzione della retribuzione rappresenta un valido strumento di adempimento del repêchage? Di conseguenza, il rifiuto di tale proposta permette al datore di lavoro di licenziare legittimamente il lavoratore per giustificato motivo oggettivo? Le soluzioni giuridiche I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso del lavoratore, ritenendo infondato il motivo di impugnazione in esame e confermando l'adempimento del repêchage e, quindi, la legittimità del licenziamento. Secondo i giudici, l'idoneità di una proposta modificativa delle mansioni, pur comportante una riduzione della retribuzione, a rappresentare un mezzo di adempimento del repêchage si spiega in ragione dell'origine e della ratio di questo istituto giuridico. La sentenza riconduce infatti il fondamento del repêchage verso mansioni inferiori ad una nota pronuncia a sezioni unite del 1998 (Cass., sez un., 7 maggio 1998, n. 7758). Secondo i giudici l'adibizione a mansioni inferiori quale alternativa al licenziamento si dovrebbe considerare legittima in base al bilanciamento operato da quella pronuncia, che ha ritenuto prevalente l'interesse del lavoratore «alla conservazione del posto di lavoro, rispetto al quale, in ragione della logica del "male minore", è possibile sacrificare sia la professionalità acquisita, sia la retribuzione in godimento». L'individuazione del fondamento del repêchage in tale bilanciamento escluderebbe quindi la rilevanza dell'art. 2103 c.c. che, per come modificato nel 2015, consente, entro certi limiti, l'adibizione a mansioni inferiori (v., in particolare, il comma 2). La funzione delle previsioni di quell'articolo è quella di consentire la modifica delle mansioni del lavoratore ove sussistano ragioni organizzative, nel preminente interesse del datore di lavoro. Considerata quindi la diversità tra le rationes della modifica delle mansioni dovuta in adempimento del repêchage (legittima secondo l'interpretazione offerta dalla sentenza del 1998 citata) e di quella consentita exart. 2103 c.c., i giudici di legittimità hanno escluso l'applicabilità, alla prima fattispecie, dei limiti individuati dalla norma codicistica, ivi compreso quello del mantenimento della retribuzione. Osservazioni La sentenza si distingue nel panorama delle recenti pronunce in materia di repêchage per un tentativo, pur parziale, di sistematizzazione dell'onere datoriale. In particolare, i giudici individuano il fondamento del repêchage verso mansioni inferiori nel bilanciamento operato dalla nota sentenza a sezioni unite del 1998 (v. supra). Così facendo, escludono la rilevanza dell'art. 2103 c.c. nel definire l'ampiezza e i limiti del repêchage stesso. Sebbene la soluzione finale sia sostanzialmente condivisibile, l'iter argomentativo seguito dalla Corte si espone ad alcune considerazioni critiche, dalle quali discendono inevitabili ricadute pratiche. In particolare, affermare che l'obbligo e, quindi, la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni inferiori in alternativa al licenziamento trovi le proprie radici nella sentenza del 1998 significa riconoscere al datore di lavoro un potere (e, conseguentemente, un obbligo) praeter legem e svincolato da ogni limite. Ciò nuoce alle istanze di certezza circa l'ampiezza dell'onere di repêchage, che potrebbe essere meglio delimitato se ricondotto nei confini dei poteri e delle facoltà riconosciute dall'art. 2103 c.c. In questo senso sembra essersi condivisibilmente espressa la sentenza di appello impugnata (App. Roma 17 luglio 2024, n. 882), che ha parimenti confermato la portata adempiente al repêchage della proposta datoriale, ma sulla base del fatto che l'art. 2103, comma 6 consente la riduzione della retribuzione. In ragione di ciò, per la Corte territoriale, non vi sarebbe comunque alcun diritto del lavoratore a mantenere la retribuzione ove le uniche mansioni disponibili siano inferiori, proprio in quanto è lecito l'accordo che, contestualmente alla modifica delle mansioni, riduce la retribuzione del lavoratore. Solo nel caso in cui sarebbe stata possibile l'adibizione del lavoratore a mansioni rientranti nello stesso livello, il datore di lavoro sarebbe stato onerato, in adempimento del repêchage, a proporre anche quelle mansioni in seguito al rifiuto della prima proposta. Questo non era evidentemente il caso della vicenda da cui è originata la sentenza in commento, atteso che la Corte d'Appello ha ritenuto provata l'assenza di altre mansioni libere in ragione della mancanza di successive assunzioni da parte del datore di lavoro. In conclusione, se da una parte la sentenza ha il merito di chiarire che, nel caso di repêchage in mansioni inferiori, è possibile la riduzione della retribuzione del lavoratore, d'altra parte bisogna rilevare come questa appare ancora lontana da una sistematizzazione compiuta del repêchage nell'ambito delle norme di diritto positivo. Riferimenti C. Pisani, La tempesta perfetta da abuso di repêchage, in Riv. it. dir. lav., n. 1, 2025, p. 27 ss.; G. Giampà, Motivo oggettivo di licenziamento e repêchage, 2025. |